Allo stand del Molino Grassi, durante la premiazione al Cibus di Parma, è stata annunciata la produzione di una nuova farina specifica per focacce che dovrebbe essere in vendita dal prossimo mese. Per presentarla ufficialmente quale migliore occasione del Cibus? Per questo erano state cotte teglie e teglie di questa focaccia genovese profumatissima e lucida d’olio assolutamente irresistibile nei suoi quadratini impilati a monticelli e che fai? Non l’assaggi? Sia mai così, tanto per non far rimanere male nessuno, me ne sono mangiate 4 o 5 porzioni e devo dire che il sapore era anche migliore dell’aspetto, così mi sono precipitata a chiedere al bravissimo e simpaticissimo Ezio la ricetta.
Lui però mi ha risposto che per ottenere una focaccia come quella avrei dovuto attendere l’uscita della nuova farina e che comunque la ricetta era già in rete con il nome di focaccia ligure di Ezio Rocchi. Ovviamente io non potevo aspettare ed ho deciso quindi di rischiare, ma nemmeno tanto, utilizzando la farina per pizze e focacce del Molino Grassi, questa,  che era tra le farine che il molino mi ha regalato alla premiazione per le mie stelle e a me già così è risultata la focaccia più buona che io abbia mai fatto, un impasto che sembra una nuvola, leggerissimo, una focaccia profumata ed oliata alla perfezione, insomma una vera meraviglia, la ricetta da tatuarsi sul braccio, per intendersi.
La ricetta l’ho trovata sul blog di Valentina che a quanto pare ultimamente è diventata la mia musa per quel che riguarda la panificazione, infatti ho già adocchiato la prossima ricetta da replicare, questa.
Al mago Ezio e alla musa Valentina tutta la mia gratitudine!
Vi serviranno
Per la biga:
500 g di farina manitoba
225 g di acqua
5 g di lievito di birra (il maestro ha detto niente licoli ne madre)
Per l’impasto:
150 della biga
500 g di farina per pizze e focacce in attesa della nuova farina
300 g di acqua
30 g di olio evo
15 g di lievito di birra
10 g di malto (io ho messo miele perché il malto non lo trovo)
12 g di sale (io ne ho messi 15)
Per la salamoia:
100 g di acqua salata con 5,5 g di sale
50 g di olio evo
La biga va preparata la sera prima mescolando brevemente tutti gli ingredienti nell’impastatrice e poi va lasciata riposare dalle 12 alle 14 ore a temperatura ambiente.
La mattina ho messo la biga a pezzetti nella ciotola della Miss Baker insieme alla farina ed il sale ed ho impastato un pochino prima di aggiungere il miele e poi l’acqua lasciandone però un pochino da parte che andrà aggiunta alla fine (io non l’ho fatto perché l’impasto era già sufficientemente idratato).
Ho impastato a velocità bassa per una decina di minuti e poi ho aggiunto il lievito sciolto in pochissima acqua. Ho fatto andare l’impastatrice altri 10 minuti prima di aggiungere l’olio e poi ho lavorato ancora, inizialmente a bassa velocità e poi aumentandola. Come dicevo, alla fine non ho potuto aggiungere l’acqua che avevo messo da parte perché l’impasto era già idratato a sufficienza, ma forse questo era un passaggio importante, quindi la prossima volta ne metterò da parte un po’ di più per vedere se questo fa una differenza riscontrabile nel risultato finale. In tutto ho impastato circa una mezz’ora. Ho diviso subito l’impasto pesando pezzature di 500 g, ho fatto qualche piega, ho schiacciato i pezzi dando già una forma rettangolare ed ho fatto riposare per 30 minuti con la cucitura verso il basso su di una superficie spolverizzata di farina.
Stendete quindi aiutandovi col matterello e mettete direttamente nelle teglie unte d’olio senza stare a tirarle ulteriormente, cosa che farete dopo un ulteriore riposo di 30 minuti.
A questo punto dovrete allungare l’impasto fino a coprire l’intera superficie delle teglie ma è un impasto che si tira alla perfezione, senza il classico effetto elastico.
Ancora riposo, questa volta per un’ora e quindi le focacce vanno spolverizzate leggermente di farina e vanno fatti i buchi. Nel post di Valentina c’è anche un video per dimostrare con esattezza come vanno fatti i buchi nella focaccia ligure, cioè non con la punta delle dita come credevo, ma in realtà usando tutta la prima falange. Ora vi resta solo da versare la salamoia dopo aver sbattuto bene l’acqua col sale e l’olio e facendo molta attenzione ogni volta che si cambia teglia di ripetere l’operazione perché la separazione di acqua e olio avviene molto velocemente. La salamoia deve coprire ogni buco.
Fate lievitare ancora un’oretta e finalmente (a questo punto non ci vedrete più dalla fame) infornate a forno preriscaldato a 230° per 15 minuti circa. Appena sfornata spennellatela con ulteriore olio e tiratela subito fuori dalla teglia, non fatecela freddare dentro. Addirittura Valentina consiglia di metterla capovolta su di un tagliere per evitare che la parte bassa diventi umida.
Come risulterà subito ovvio, la biga preparata, tolti i 150 necessari per la focaccia, avanzerà. A quel punto siete liberi di utilizzarla come lievito, in proporzione di 300 g di biga per 1 kg di farina, per altre preparazioni. Io, seguendo l’idea della mia amica Antonella, ho fatto del pane arabo e, mescolata con rimacinata di semola Senatore Cappelli, dei meravigliosi panini. Valentina dice di aggiungere i 300 g di biga per un kg di farina diminuendo di 1/3 la dose di lievito, io ho aspettato di più ma ho usato solo la biga senza ritoccare di lievito, un po’ come una pasta da riporto.
Ultimo suggerimento: fate dose doppia perché rischiate di spolverarla talmente in fretta ancora bollente tra un’infornata e l’altra da non averne più nemmeno un pezzettino da portare in tavola.
A buon intenditor…….
12 comments
0 FacebookTwitterGoogle +Pinterest

 

Ci siamo. Il conto alla rovescia che separa la primavera dall’estate sta accelerando e mentre tutti gli altri si rallegrano ed incominciano a spogliarsi anche se fuori al mattino sono ancora 10°, io comincio a patire, a patire sul serio. Lo so, sono assolutamente contro tendenza. Mi sono anche stancata di sentirmelo ripetere in coro da chiunque io incontri quando manifesto, debolmente del resto, la mia preferenza nemmeno per la primavera, ma addirittura per l’inverno. Vi lascio immaginare i commenti quando mi azzardo a dire che amo le giornate grigie e piovose e sono probabilmente l’unica persona che conosco che gioisce al termine dell’ora legale, ad Ottobre. Amo il freddo, il crepuscolo prolungato di certe giornate novembrine, il caminetto acceso, il brivido che provo quando dal tepore di casa il freddo, fuori, mi morde e mi fa desiderare di tornare dentro, quella sensazione forte di essere viva, sveglia, cosciente che il freddo mi fa provare, amo il cibo invernale, le zuppe che scaldano membra e cuore, le castagne, le torte ricche di burro, il profumo ed il calore sprigionati del pane appena sfornato, le cioccolate calde, le coperte di pile nelle quali mi avvolgo mentre leggo un bel libro, l’immensa soddisfazione di tornare a casa e rinchiudermi nel mio nido caldo, bozzolo profumato di cibo.

Dovrò dare l’addio a tutto questo per almeno cinque mesi e in questi mesi rimpiangerò il freddo ogni singolo giorno, maledirò il caldo, la luce estiva che mi acceca, la follia che pare prender piede d’estate, come se il calore desse alla testa al mondo intero. Anche il mio modo di cucinare dovrà subire ovvi cambiamenti, le mie adorate farine diventeranno preda ambita delle farfalline, il mio detersivo fermenterà  e mi toccherà tenerlo in frigo, il pane lo cuocerò sempre e comunque perché sono bread baking addicted ma che sofferenza il forno acceso.. Per prepararmi mentalmente e psicologicamente al grande caldo, ho voluto cominciare dolcemente e cosa c’è di più dolce della panna cotta? Questa è una versione un po’ meno peccaminosa ma il mio stomaco non se n’è accorto perché nonostante sia light è proprio buona..

Ingredienti
Per la panna cotta:
200 ml di latte fresco intero
2 cucchiai di essenza di vaniglia home made oppure una bustina di vanillina
75 g di panna fresca
75 g di yogurt di quello greco
3 g di gelatina in fogli
75 g di zucchero
Per il coulis di fragole:
200 g di Fragole
120 g di zucchero
1/4 di limone spremuto

 

La preparazione della panna cotta è molto veloce però va programmata perché deve stare almeno tre ore in frigo prima di essere consumata. Per prima cosa mettete in acqua fredda la gelatina per una decina di minuti. Poi riscaldate il latte mescolato con la panna e lo zucchero portandolo quasi al bollore. Lontano dal fuoco unite la vaniglia (vi avverto, se usate l’essenza di vaniglia la panna cotta risulterà di un colore un po’ begiolino ma se ne perderete in apparenza guadagnerete in salute perché la vanillina è una sostanza chimica che tanto bene non fa) e la gelatina strizzata bene e mescolate vigorosamente con una frusta. A questo punto aggiungerete lo yogurt mescolando nuovamente. Versate poi la panna cotta in stampini di silicone o da budino e tenete in frigo almeno tre ore. Nel frattempo potrete preparare il coulis di fragola. Frullate le fragole con il succo di limone e poi mettetele in un tegamino insieme allo zucchero e fate sciogliere a fuoco bassissimo. Ci vorranno circa 4/5 minuti. A questo punto il coulis è pronto. Io di solito, ed anche questa volta, preparo almeno il doppio della dose e poi tengo lo sciroppo in frigo da usare con il gelato, sulle fragole al posto di zucchero e limone oppure, se la panna cotta vi è piaciuta, avrete il coulis già pronto per la prossima..

 

 

Versione Bimby:
Come sempre con preparazioni di questo tipo, col Bimby è tutto più semplice e veloce.
Per la panna cotta:
Ammollate in acqua fredda la gelatina per 10 minuti. Mettete nel boccale il latte, la panna e lo zucchero e cuocete 6 minuti 80° vel. 3. Unite l’essenza di vaniglia e la gelatina strizzata bene e mescolate 10 sec. vel. 5.
Per il coulis:
Mettete all’interno del boccale le fragole, lo zucchero ed il limone spremuto e cuocete per 4 minuti  80° vel. 4.
Per l’esecuzione ovviamente procedete come sopra.
8 comments
0 FacebookTwitterGoogle +Pinterest
Se c’è sulla terra e fra tutti i nulla qualcosa da adorare, se esiste qualcosa di santo, di puro, di sublime, qualcosa che assecondi questo smisurato desiderio dell’infinito e del vago che chiamano anima, questa è l’arte.
Gustave Flaubert, Memorie di un pazzo, 1838
Pittura, scrittura, cinema, musica, cucina, tutto può essere arte. Perfino vivere, per alcuni, può essere arte. Di solito metto link a video musicali, altre volte brani di libri che mi hanno mosso pesantemente qualcosa dentro. Beh, il film Quasi amici, Intouchables, di Oliver Nakache, ha fatto più di questo. Mi ha profondamente commossa, mi ha fatto ridere, piangere, riflettere.. Non so che cos’hanno questi francesi ma ogni tanto, quasi come per caso, escono con questi gioiellini, film perfetti, che restano dentro per sempre. Per me Quasi amici è uno di questi. Una storia vera che racconta l’amicizia altamente improbabile tra due persone che appartengono a mondi completamente distanti, Philippe, ricco aristocratico tetraplegico ed il suo badante, Driss, giovane di periferia appena uscito di prigione.  Un’amicizia così forte che crea un legame unico ed, appunto, intoccabile. Due persone all’opposto che singolarmente sono incomplete ma che in coppia diventano una forza come un’altra splendida ed improbabile amicizia del resto è quella che nasce tra George, ragazzo down da sempre recluso in un istituto ed Harry, manager stressato nel film L’ottavo giorno, altro capolavoro francese, del regista Pascal Van Dormael.
Al Cibus, dopo la premiazione, al momento dei saluti, Valentina ci ha regalato questo pane qui ed ha assolto, col suo dono, a tutto quello che il pane simboleggia, solidarietà e fratellanza, come del resto dimostra la radice della parola compagno, cum panis, perché è questo il significato del pane, che si distribuisce, si spezza e si mangia insieme, tra amici!

 

 

Il pane della Valentina era tanto buono che sotto promessa agli uomini di famiglia, ho dovuto immediatamente replicare, con appena qualche cambiamento dovuto ai materiali reperiti.

Vi serviranno

Per il prefermento:
50 g di farina per panificare (io Floriddia)
50 g di farina multicereali Molino Grassi
100 g di acqua a 25/26°
Un cucchiaio di licoli rinfrescato almeno 2 volte

Per l’impasto:
300 g di farina per panificare Floriddia
700 g di farina multicereali Molino Grassi
200 g di prefermento

 

750 g di acqua
10 g di malto (io ho messo il miele)
25 g di sale
70 g di noci sgusciate

Per questo pane si parte la sera prima, verso le 21, preparando il prefermento. In una ciotola si mette l’acqua e ci si scioglie il licoli, quindi si uniscono le farine setacciate, si mescola brevemente con un cucchiaio di legno e poi si lascia riposare a temperatura ambiente fino al mattino (la lievitazione potrà essere dalle 12 alle 16 ore a seconda della temperatura ambiente).
Al mattino, verso le 9, si mette nella ciotola dell’impastatrice il prefermento insieme a 550 g dell’acqua totale e si incomincia a mescolare a bassa velocità usando inizialmente la spatola a K. Una volta unite le farine si sostituisce la spatola a K con il gancio e si impasta qualche minuto.
Poi si lascia riposare un’oretta per ottenere l’autolisi.
Passato questo tempo si aggiungono il miele ed il sale e si impasta aggiungendo pian piano l’acqua restante fino ad ottenere un impasto bello liscio e ben incordato. Si fa riposare altre due ore programmando ogni mezz’ora una serie di pieghe per dar forza al glutine. Le noci vanno aggiunte durante la seconda serie.

 

Alla fine si fa riposare ulteriormente, per circa 30 minuti, quindi si divide l’impasto in quattro parti uguali e si dà al pane la forma voluta. Io ho fatto una panata e tre simil baguette, poi ho messo la pagnotta in una cesta infarinata bene e le baguette nello stampo per baguette, in ambedue i casi con la cucitura rivolta verso l’alto. Ho fatto lievitare altre due ore e quindi ho infornato in forno preriscaldato a 220° con un pentolino d’acqua sul fondo per creare il vapore ed abbassando subito la temperatura a 200°. A me per la cottura sono stati sufficienti 30 minuti.
E’ un pane ottimo, molto profumato, con la sorpresa qua e là delle noci croccanti. Io per ora
l’ho provato solo con la marmellata ma chissà che buono con il formaggio. Mi immagino già un crostone pecorino fuso e spinaci….

 

 

Il pane della Valentina lo mando pari pari a Sandra per Panissimo. Troppo buono per non essere condiviso!

 

 

8 comments
0 FacebookTwitterGoogle +Pinterest
Le ricette della tradizione.. Questa semplice frase meriterebbe da sola pagine intere di spiegazioni. Quale tradizione? Tradizione per chi? Ho spesso pensato di dedicare una sezione del mio blog alle ricette della nostra tradizione, la tradizione della mia famiglia. Ricette simili a quelle di mille altri, certamente non migliori, ma nostre, parte di quel tessuto connettivo che unisce i ricordi di me e di mia sorella, le ricette delle nostre domeniche, delle nostre vacanze, dei nostri Natali, ricette che per me hanno un profumo tutto particolare, quello del ricordo e anche della malinconia perché quello che mangio oggi non è quello che mangiavo quando abitavo con i miei ed anche perché associo quelle ricette a persone che ormai non ci sono più, i nonni, alcuni zii, parenti che si sono persi nel corso degli anni a causa di viaggi, separazioni, litigi. Era tutto più bello quand’ero piccina. La nostra casa era grandissima, 450 metri quadri, un’enormità  dove tutti si perdevano da una stanza all’altra ma che si prestava bene per riunioni famigliari, ricorrenze, Natali. C’erano tanti tanti divani dove tutti potevano trovare posto ma noi piccolini preferivamo stare seduti per terra sulla moquette, proprio sotto l’albero, tanto vicini da vedere riflesse le lucine sui nostri volti. La serata era per noi un vero e proprio rito con tutte le sue regole da rispettare.
Prima si mangiava, poi mio nonno, sempre lui poveretto, si allontanava con una scusa e subito dopo sentivamo un campanaccio che suonava e che salti che ci faceva fare… Era il ciuchino, carico di doni, ma a me il ciuchino faceva sempre molta paura, tanto che ho avuto spesso gli incubi e in quegli incubi dormivo e mi svegliavo improvvisamente al suono del campanaccio e guardando il muro vi vedevo l’ombra delle sue lunghe orecchie. Infatti, al suono noi bambini scappavamo tutti a rifugiarci da qualche parte e stavamo zitti zitti finché gli adulti non ci dicevano che il ciuchino se n’era andato e che potevamo tornare a tavola. Finivamo il dolce sempre molto di fretta e poi ci mettevamo tutti intorno all’albero ora magicamente contornato da pile di pacchetti color rubino e smeraldo scintillanti come gemme ai miei occhi e si incominciava la distribuzione dei doni. Si sceglieva qualcuno e questi doveva consegnare un pacchetto per volta e finché non era stato scartato ed il regalo non aveva fatto il giro ed era stato visto da tutti, non si passava a quello seguente. Io non volevo mai aprire due regali di seguito perché avevo paura “di finirli subito” come ripetevo sempre e quindi cercavo di ingraziarmi vergognosamente la persona che distribuiva. Si finiva sempre, ovviamente, molto tardi. Era l’unica occasione dell’anno in cui ci permettevano di fare tardi e forse anche per questo mi ricordo così bene quelle serate. Pasta e fagioli non è ovviamente un piatto di Natale ma è comunque uno di quelli che mi riportano alla mia infanzia, a quando, nelle sere d’inverno, ci sedevamo a tavola e ci lasciavamo scaldare stomaco e cuore da questo piatto.
In occasione del contest Pasta che ti passa… Impastiamo la crisi, ho pensato di impreziosire pasta e fagioli con una pasta fresca ottenuta con semola e rosmarino tritato che aggiunge profumo alla minestra. Anche in questa ricetta i costi sono ovviamente ben sotto i 5 €. prefissi da me e dalla Sandra. Purtroppo ci sono stati dei problemi nel mettere la seconda griglia, quella del prolungamento contest sul mio blog, così ci siamo spostate sul blog di Sandra.
Questa è la ricetta di casa mia:
Per la pasta:
200 g di semola Senatore Cappelli
100 g di farina 0
2 rametti di rosmarino
Acqua quanto basta
Per la minestra:
1/2 kg di fagioli cannellini
2 spicchi d’aglio
Una cipolla piccola
3 cucchiai di conserva
Un rametto di rosmarino
Una decina di foglie di salvia
Olio
Sale e pepe
Ho lessato i fagioli la sera prima in modo da far insaporire bene il brodo.
Poi il giorno dopo ho preparato la pasta. Ho frullato un poco di semola con le fogline di rosmarino, poi ho aggiunto la restante semola, la farina 0 e acqua quanto bastava per formare un impasto bello sodo. Ho lavorato finchè non è diventato elastico ed ho fatto riposare mezz’ora prima di tagliarlo a fettucce un poco più larghe delle tagliatelle e lunghe circa la metà.
Ho soffritto l’aglio, la cipolla, le foglie del rosmarino e quelle di salvia tritate molto finemente. Vi ho unito la conserva ed un poco dell’acqua dei fagioli ed ho fatto cuocere altri 5 minuti, quindi ho versato il brodo dei fagioli e metà dei fagioli passati al setaccio e ho salato e pepato bene.
Ho fatto cuocere venti minuti e poi vi ho versato la pasta quando ancora la minestra era brodosa. Quando la pasta è cotta, ho unito il resto dei fagioli, interi, ho pepato di nuovo ed ho servito
subito con un bel giro d’olio.
10 comments
0 FacebookTwitterGoogle +Pinterest
Schiacciata di Pasqua fuori tempo massimo
 Lo so che sono fuori tempo massimo con la Schiacciata di Pasqua ma in realtà noi ce la mangiamo già da tre settimane. E’ solo che ancora non avevo avuto il tempo di scrivere il post tra eventi e contest. Mi sono resa conto solo da poco, ed in effetti non poteva essere altro che così visto che il mio contest ha visto la luce in Gennaio che cucinare, per una food blogger,  è la minima parte del lavoro. Si deve si cucinare ma anche scrivere, fotografare, confrontarsi con le altre con i vari contest, studiare tabelle su cosa cucinare, partecipare ad eventi enogastronomici.. Insomma, una bella mole di lavoro anche se chi ha un blog lo fa per passione e quindi “quasi” tutto si fa volentieri.  I grandi lievitati sono stati una bella sfida ma ora che mi sono cimentata con la colomba ho preso coraggio e quindi con l’occasione della Pasqua la sfida da vincere era la Schiacciata. In Toscana, soprattutto nelle zone tra Pisa e Livorno,  è una vera e propria tradizione. Come tutti i piatti toscani in genere, la ricetta è molto povera e le versioni sono innumerevoli. In pratica ognuno aveva la sua ricetta custodita gelosamente e le massaie facevano a gara a chi la faceva più buona perché ciò dava lustro all’intera famiglia. La lunga lievitazione veniva gestita collettivamente e a tutti toccava “badarla” in famiglia e poi si portavano le schiacciate alle fortunate che avevano il forno a legna e che permettevano di usarlo ed era tutto un corri corri per evitare che  la schiacciata di sedesse cioè che perdesse la lievitazione a causa dello sbalzo di temperatura. Tutte tradizioni perse nella maggior parte dei casi, così come tante altre cose. Solo ora che non c’è più mi rendo conto di quanto mia nonna si sia portata via con se,  quando sarebbe bastato solo un po’ più di tempo per ascoltarla. Ricordi di povertà, di miseria, di vite difficili ma anche di solidarietà, di amicizia, di paesini minuscoli che erano come famiglie allargate, dove se c’era bisogno si andava anche tutti a turno a coltivare il campo di un altro, dove si condividevano la fame ma anche il cibo quando c’era, le tradizioni, le credenze popolari e spesso la sera del sabato ci si ritrovava davanti ad un camino a raccontarsi le storie, quelle che facevano paura, mentre si sbucciavano le ballotte appena cotte e si beveva un bel bicchiere di vino rosso per buttarle giù al meglio. Questa ricetta non è di mia nonna. Lei era più brava negli arrosti ma purtroppo, non mangiando carne, non ho mai pensato di imparare da lei quest’arte pur difficile. La ricetta l’ho presa qua, nel blog di Nanocucina, senza preoccuparmi troppo della paternità regionale della sua ricetta ma seguendo più che altro il fatto che volevo una ricetta che comportasse l’uso del lievito madre e devo dire che questa ha fatto abbondantemente il suo dovere. Essendo questa una schiacciata che si può mangiare anche con i salumi ed i formaggi, il quantitativo di zucchero è minimo ma casa mia è una casa dove nel caffè se ne mettono almeno tre cucchiaini e per mangiare il formaggio si preferisce usare il pane, quindi ho aumentato decisamente il quantitativo.

 E anche la prova schiacciata è superata!

Schiacciata di Pasqua fuori tempo massimo

 

Vi serviranno:

Primo impasto
140 g di licoli rinfrescato 3 volte
90 g di latte
100 g di zucchero
5 g di sale
250 g di farina 00

Secondo impasto
primo impasto
2 tuorli + un uovo intero
100 g di zucchero
50 g di olio
200 g di farina Manitoba

Terzo impasto
170 g di zucchero
50 g di burro
2 cucchiai di latte in polvere (che io non ho messo)
la buccia grattugiata di 1 arancia e di un limone
il succo di mezza arancia
40 cc di Cointreau
160 g di farina Manitoba

Schiacciata di Pasqua fuori tempo massimo

Schiacciata di Pasqua fuori tempo massimo

Per prima cosa ho provveduto a rinfrescare il licoli la prima volta verso le 14, la seconda verso le 21 e poi ho fatto riposare tutta la notte e la terza al mattino. Alle 13 ho preparato quindi il primo impasto con il licoli che quasi saltellava. L’ho sciolto ben bene nel latte intiepidito e poi vi ho aggiunto 70 g di farina e lo zucchero ed ho fatto riposare per una mezz’ora. Poi l’ho messo nell’impastatrice insieme alla farina restante ed ho lavorato per 5 minuti e solo alla fine ho unito il sale. Ho continuato a lavorare fino ad ottenere un bell’impasto liscio che poi ho messo a lievitare nel forno protetto da pellicola trasparente fino al raddoppio.
Alle 20 circa ho messo le uova e lo zucchero nell’impastatrice e con la frusta le ho montate leggermente. Ho poi aggiunto l’olio continuando a mescolare e poi ho sostituito la frusta con la frusta a K ed ho messo la farina. Dopo una mescolata svelta ho sostituito ancora con il gancio per impastare, ho unito il primo impasto ed ho lavorato a velocità bassa finché non ha incordato (una ventina di minuti).

Schiacciata di Pasqua fuori tempo massimo

Ho nuovamente messo in forno coperto di pellicola a riposare fino al mattino.
Il giorno seguente, verso le 9, ho fatto fondere il burro nel microonde, ho aggiunto il Cointreau, le scorze grattugiate degli agrumi, il succo della mezza arancia, ho messo il secondo impasto nella ciotola dell’impastatrice, ho aggiunto il burro con tutto il resto e per ultimo lo zucchero ed ho lavorato a bassa velocità finché non ha incordato alla perfezione. L’impasto dovrà risultare morbido ma elastico e superare la prova velo.
A questo punto si fa riposare per una mezz’ora e poi si pesano due panetti da 500 g ed uno da 250 g circa, si mettono nei tipici stampi di alluminio e si lasciano lievitare scoperti ma in un luogo tiepido ed al riparo da correnti. Io ero pronta ad infornare alle 17 circa.
Ho acceso il forno a 190° e quando ha raggiunto la temperatura ho messo un contenitore con dell’acqua sul fondo del forno per creare il vapore ed ho infornato le schiacciate. In mezz’ora erano cotte ma dopo una ventina di minuti ho abbassato la temperatura a 180°.
Le ho messe a raffreddare sopra una griglia perché non avendo usato gli stampi di carta sarebbe stato impossibile infilzarle come le colombe. Devo dire che si sono conservate ottimamente e, come la colomba, la terza che era stata “a riposo” per due settimane era ancora più buona della prima.
Sicuramente un’altra ricetta da mettere tra i must della tradizione!

Schiacciata di Pasqua fuori tempo massimo

Questa schiacciata va pari pari dalla Sandra  per  Panissimo di Maggio

 

5 comments
0 FacebookTwitterGoogle +Pinterest