Jaffa cakes

by burroemalla

 

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L’adolescente si è fatto male. Di nuovo. Di nuovo le urla, l’osso che spunta dove non dovrebbe stare, la corsa in ospedale, di nuovo l’ansia, la disperazione di vederlo soffrire senza poter fare nulla, di nuovo la difficoltà di gestire tutore e stampelle abitando su tre piani. Questa volta è andata anche peggio dello scorso anno perché si è strappato i legamenti e molto probabilmente necessiterà di un intervento e allora addio spettacolo teatrale al quale aveva tanto lavorato, addio alle prove del coro, alle lezioni di piano, all’addobbo dell’albero, ai preparativi del Natale, insomma a tutto quello che rende questo periodo così speciale. Per quel che mi riguarda, niente tempo da dedicare alle ricette natalizie, alle foto, al blog, anche se ovviamente tutto scende in secondo piano davanti ad una cosa del genere. I jaffa cakes per il Re-cake 2.0 erano già stati preparati in parte ma come fare a trovare il tempo per le foto e poi tutto quello che serve per pubblicare? Naturalmente non ce l’ho fatta e a chiudere il cerchio, con gli sforzi che ho fatto per aiutare l’adolescente quando non poteva proprio muoversi a spostarsi dal divano al letto e nel bagno, ho sforzato molto la schiena e mi sono procurata uno strappo quindi la situazione è per quanto incredibile, anche peggiorata. Visto però che una qualche parvenza di normalità la dobbiamo pur trovare, anche se ampiamente fuori tempo massimo i jaffa cakes li pubblico lo stesso e del resto eran tanto buoni che meritano davvero un post. Potrebbero essere un ottimo regalino per amici e parenti, impacchettati in carta trasparente con fiocchi colorati e un bel bigliettino fatto a mano, insomma, tutto quello che avrei voluto fare io se non mi fossi ritrovata in mezzo a questo pasticcio, quindi anche se siete stanche, di corsa, sempre all’ultimo minuto, apprezzate ogni momento del vostro correre perché ferme è anche peggio!

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Jaffa cakes
Tempo di preparazione 20 minuti
Tempo di cottura 8 minuti
Porzioni
cakes
Ingredienti
Per il Pan di Spagna:
Per il ripieno:
Per la copertura:
Tempo di preparazione 20 minuti
Tempo di cottura 8 minuti
Porzioni
cakes
Ingredienti
Per il Pan di Spagna:
Per il ripieno:
Per la copertura:
Istruzioni
Per il ripieno:
  1. In una casseruola mettete lo zucchero e il succo di arancia e portate quasi a ebollizione. Quando lo zucchero si sarà sciolto, aggiungete la gelatina (precedentemente ammollata e strizzata) e mescolate. Non fate bollire il composto. Rivestite uno stampo da muffin con della carta forno, quindi versate in ogni cavità un cucchiaio del composto di arancia. Fate raffreddare per 1-2 ore, finché non è sodo.
Per il Pan di Spagna:
  1. Preriscaldate il forno a 180°C. Mettete le uova e lo zucchero in una ciotola capiente e ponetela su un bagnomaria. Montate il composto con le fruste elettriche finché non è ben gonfio e spumoso - saranno necessari 4-5 minuti. Rimuovete la ciotola dal bagnomaria, aggiungete la vaniglia e incorporate la farina setacciata inserendola a piccole dosi. Imburrate lo stampo stesso e suddividete l’impasto del pan di Spagna nelle cavità (circa 1 cucchiaio in ognuna). Cuocete per 8-10 minuti o finché uno stuzzicadenti non esce pulito. Fate raffreddare le tortine per 5 minuti nello stampo, quindi rimuovetele e adagiatele su una griglia per farle raffreddare completamente.
Montaggio delle gelatine:
  1. Rimuovete le gelatine dallo stampo senza staccarle dalla carta forno. Quando le tortine saranno fredde, staccate delicatamente le gelatine. Se volete che le gelatine siano leggermente più piccole delle tortine, potete copparle prima di rimuoverle. Se desiderate potete spalmare un poco di marmellata sui jaffa prima di posizionare le gelatine. Ci sta proprio bene. Adagiate le gelatine sui dischi di pan di Spagna.
Copertura:
  1. Sciogliete il cioccolato al microonde finché non è ben liscio e omogeneo, mescolando a intervalli di 10-20 secondi. Se non avete un microonde, potete scioglierlo a bagnomaria. Lasciate raffreddare leggermente, quindi, con un cucchiaio, versate il cioccolato sulle gelatine, facendolo arrivare fino ai bordi delle tortine. Decorate come preferite la superficie utilizzando una forchetta Se volete potete creare un decoro utilizzando una forchetta. Lasciate riposare e rapprendere il cioccolato prima di servire le Jaffa cake.
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Con questa ricetta partecipo, fuori tempo massimo, al Re-cake #19 e questa è la pagina Facebook.

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grissini di semola con confettura di cipolle

Io e la Sandrina ci siamo conosciute nel 2014, quando le inviai una ricetta per Panissimo come food lover e lei non solo mi consigliò di aprire un blog ma ne fu l’autrice materiale perché io non avrei saputo da dove cominciare. Ma la Sandra è così, una persona davvero speciale anche se lei direbbe di no, che non è vero. È buona di cuore e nonostante la vita non le abbia sempre sorriso, continua ad aiutare gli altri; è talentuosa infatti ha pubblicato un bellissimo libro, La Toscana di Ruffino,  scatta foto che sembrano quadri di Caravaggio e scrive così bene che alla fine di ogni suo post verrebbe da chiederle “a quando il secondo capitolo” perché si resta con la voglia. Non la vedo spesso come vorrei ma grazie ai social riusciamo a non perderci del tutto e poi quando preparo un lievitato lo porto da lei che, insieme alla Barbara è la mamma di Panissimo, la rubrica mensile di lievitati che me l’ha fatta conoscere. Ultimamente l’azienda toscana Pure Stagioni ha deciso di collaborare proprio con Panissimo e da questa collaborazione è nata una sfida tra food blogger. Ognuno dei 14 partecipanti avrebbe dovuto ideare una ricetta di un lievitato adoperando un prodotto della Pure Stagioni e sono stata molto orgogliosa quando la scelta della Sandrina è ricaduta anche su di me. La Pure Stagioni è un’azienda fiorentina che produce confetture naturali al 100%, prodotte su ricetta esclusiva con l’uso di zucchero e materie prime selezionate di persona. Ogni stagione ha le sue caratteristiche, che si rispecchiano nel prodotto in maniera unica, infatti su ogni confezione è specificato l’anno del raccolto ed essendo le stesse di metallo chiuse a pressione e non a vite, per aprirle la Pure Stagioni fornisce una monetina fior di conio dello stesso anno del raccolto che si trova sull’esterno della confezione. Io avevo a disposizione la confettura di cipolle di Certaldo, quella di limoni e quella di fichi ma la ricetta che mi è venuta subito in mente è stata una ricetta salata: ho infatti pensato di realizzare dei grissini di semola di grano duro ripieni di confettura di cipolle. Il risultato mi ha ha assolutamente soddisfatta perché la confettura è a dir poco straordinaria e si sposa a meraviglia con il sapore della semola. Il contrasto del croccante del grissino all’esterno e il cuore morbido del ripieno alla cipolla mi ha subito conquistata ma quando ne ho intinto uno nel gorgonzola è diventato amore a vita. Fa piacere quando si riescono a valorizzare le innumerevoli eccellenze delle nostre produzioni e il lavoro svolto da Pure Stagioni è davvero eccellente. Mi sto già informando sulla distribuzione perché ho adocchiato anche una confettura di peperoncini..

grissini di semola con confettura di cipolle

grissini di semola con confettura di cipolle

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grissini di semola alla confettura di cipolla
I lievitati prodotti utilizzando farina di semola hanno un profumo ed un sapore straordinari ma il problema con questo tipo di farina è lo sviluppo della maglia glutinica, in parole molto semplici quella specie di reticolo che impedisce al gas prodotto dai lieviti di uscire dall'impasto e disperdersi nell'ambiente, spingendolo invece a sollevarsi al suo interno cioè in pratica a far lievitare l'impasto. Per permettere lo sviluppo della maglia glutinica la semola va opportunamente trattata: per prima cosa va idratata e successivamente va lavorata ma se si usa un'impastatrice bisogna fare molta attenzione a non scaldare troppo l'impasto che altrimenti perderebbe completamente struttura. Il trucco è proprio pre-idratare (idrolisi, dal greco Hydro = acqua e lysis = sciogliere) a lungo la semola in modo che poi il processo di formazione della maglia glutinica sarà abbreviato e di conseguenza non si avrà la necessità di lavorare a lungo l'impasto. Per questa ricetta non volevo aspettare così a lungo quindi ho messo ad idratare la semola e contemporaneamente ho preparato un poolish (pre-impasto preparato con lievito e stessa dose di farina ed acqua) e poi ho mischiato i due. I tempi si sono notevolmente accorciati ed il risultato è stato perfetto. Certo, quando faccio il pane aspetto i tempi canonici ma per i grissini il sistema funziona più che bene.
Tempo di preparazione 5 ore
Tempo di cottura 40 minuti
Tempo Passivo 4 ore
Porzioni
teglie medie
Ingredienti
Poolish:
Tempo di preparazione 5 ore
Tempo di cottura 40 minuti
Tempo Passivo 4 ore
Porzioni
teglie medie
Ingredienti
Poolish:
Istruzioni
Poolish e idrolisi semola
  1. In una ciotola media sciogliete il lievito nell'acqua quindi aggiungete la farina e mescolate brevemente. Coprite con pellicola alimentare e mettete all'interno del forno con la cucina accesa. Nella ciotola della planetaria mettete sia la semola che l'acqua, mescolate con la frusta K e poi coprite con un piatto e fate riposare.
Impasto finale:
  1. Il poolish sarà pronto in circa due ore ma ovviamente dipende molto dalla temperatura che avete a casa ma si noterà comunque perché si affosserà al centro. Aggiungete il poolish alla semola pre-idratata insieme al miele e all'acqua (non mettetela tutta perché come per il discorso dei tempi di lievitazione, l'assorbimento dipende dal tipo di farina, dall'umidità e da tanti fattori difficilmente quantificabili). Impastate a vel. 1 utilizzando la frusta K solo il tempo necessario a formare l'impasto quindi sostituitela con il gancio ed aggiungete il sale. Impastate fino a quando l'impasto non comincerà a risalire sul gancio, circa 10 minuti, avendo cura di controllare che l'impasto non si scaldi troppo. Un metodo sicuro c'è ed è tanto semplice quanto fondamentale. C'è chi la chiama la regola del 53, chi del 55 ma cambia poco. Si devono misurare la temperatura della stanza e quella della farina perciò è fondamentale un termometro. Facendo l'esempio di casa mia: Temperatura della stanza + temperatura della farina: 20°C + 21°C = 41°C A questo punto si sottrae la somma ottenuta dalla temperatura base di 53/55°C : 53°C – 41°C = 12°C La vostra acqua dovrà quindi avere la temperatura di 12°C
  2. Trasferite l'impasto in una ciotola, coprite con pellicola oppure con un'altra ciotola e mettete nel forno con la lucina accesa.
  3. Fate lievitare per 2 ore circa o comunque fino al raddoppio.
  4. Dividete l'impasto in due parti e usando il matterello stendetele in due rettangoli.
  5. Spalmate uno dei rettangoli con la confettura di cipolle e coprite con l'altro rettangolo.
  6. Usando una rotella per pizza oppure un coltello molto affilato tagliate delle strisce di 1 cm di larghezza e poi arrotolatele su se stesse facendo attenzione a non stringere troppo altrimenti la confettura fuoriuscirebbe.
  7. Posizionate i grissini così ottenuti su teglie foderate di carta forno, spruzzateli oppure pennellateli di olio buono e spolverizzate di sale grosso.
  8. Cuocete in forno preriscaldato a 200° per 10-15 minuti. Anche qua vale la stessa cosa del tempo di lievitazione perché ognuno conosce il proprio forno ed ogni forno è diverso dagli altri. Una cosa però la posso dire: io la prima infornata l'ho cotta per 15 minuti e anche se apparentemente i grissini erano perfetti, una volta freddati sono diventati un pò troppo duri. Noi abbiamo preferito la cottura di 10 minuti perché ci piace poter affondare i denti nel grissino e anche perché altrimenti la confettura si asciuga troppo ma come sempre, de gustibus ?
Recipe Notes

Come la mia cara amica Emmettì insegna, i grissini si conservano in un sacchetto di carta come quelli per il pane a sua volta conservato all'interno di una busta di nylon spessa.

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grissini di semola con confettura di cipolle

grissini di semola con confettura di cipolle

grissini di semola con confettura di cipolle

grissini di semola con confettura di cipolle

Naturalmente porto questa ricetta a Panissimo#45, la raccolta mensile di lievitati ideata da Sandra di Sono io, Sandra e da Barbara di Bread & Companatico ospitata questo mese da Sono io, Sandra con Pure Stagioni.

Pure Stagioni su facebook  e #Purestagioni su Instagram 

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bocconcini di quinoa

I bocconcini di quinoa, scamorza e pomodori secchi sono molto buoni. Premesso ciò, devo anche dire che a me la quinoa piace. Tanto. E non mi piace perché si può far risalire il suo uso fino a 4000 anni fa, oppure perché è stata dichiarata degli Stati Uniti un super food tanto che è stata messa nella lista degli alimenti di cui si compone il menù spaziale e nemmeno per i suoi flavonoidi e fitonutrienti antinfiammatori. A me piace perché è  buona, buona di sapore intendo. Te ne cuoci un po’ ad inizio settimana e te la metti in frigo e poi la utilizzi come e quando vuoi, in aggiunta ai minestroni o alle vellutate al posto di pasta o riso, nell’insalata, insieme alle verdure al posto del couscous, nelle polpette, nei curry come in questa mia vecchia ricetta, negli sformati, nel ripieno delle zucchine, nei crackers, come sostituzione del riso nei risotti, nel muesli e mi fermo qua certo non perché le idee siano finite ma per non annoiarvi. Anche la cottura può variare: lessa, al vapore, cotta in padella finché non diventa croccante come in quest’altra mia ricetta, ridotta in farina per i dolci. Certo, che poi faccia anche bene non può che farmi piacere ma non è il motivo per cui la porto in tavola. Questi bocconcini sono buoni, prima che sani. Se ne vanno via uno dopo l’altro che è una bellezza e la ricetta è solo come spunto perché si possono variare le verdure, il tipo di formaggio, le erbe aromatiche.. Che altro dire? Date una chance alla quinoa. Ne vale la pena ?

bocconcini di quinoa

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Bocconcini di quinoa, scamorza e pomodori secchi
Tempo di preparazione 15 minuti
Tempo di cottura 20 minuti
Porzioni
persone
Ingredienti
Tempo di preparazione 15 minuti
Tempo di cottura 20 minuti
Porzioni
persone
Ingredienti
Istruzioni
Per la quinoa:
  1. Alla sera ammollate la quinoa dopo averla abbondantemente risciacquata. La mattina dopo mettetela in una casseruola coprendola appena un dito con acqua e cuocetela 15 minuti.
Per i bocconcini:
  1. Preriscaldate il forno a 180° Ungete con olio lo stampo da muffins oppure gli stampini piccoli di alluminio. Tagliate la scamorza a dadini ed i cipollotti e i pomodori secchi a julienne e mettete il tutto in una ciotola insieme alla farina setacciata, l'uovo leggermente sbattuto e la quinoa. Condite con sale, pepe e peperoncino e mescolate con una spatola di silicone. Riempite col composto le cavità dello stampo da muffins o gli stampini individuali e cuocete per circa 20 minuti o comunque finché non doreranno.
Recipe Notes

Da freddi tendono ad indurirsi per la presenza della farina. Se aveste necessità di aspettare, prima di servirli passateli nel microonde alla massima potenza per 30,40 sec. Torneranno come appena sfornati.

Potete renderli vegan sostituendo all'uovo un pò di latte e di olio (più o meno 25 g di latte e 25 di olio)  ed aggiungendo tofu o altre verdure al posto del formaggio e potete ovviamente variare i sapori giocando con le verdure e le erbe aromatiche. Saranno comunque ottimi.

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bocconcini di quinoa

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babka al cioccolato

Dopo aver dovuto rinunciare allo scorso Re-Cake per cause di forza maggiore, questo mese mi ero ripromessa di organizzarmi meglio ed infatti le mie babke (si può dire?) per il Re-Cake #18 sono state dovutamente fotografate (ad essere onesta una è stata divorata in breve e l’altra sono riuscita a fotografarla solo nascondendola). Senza incorrere negli strali di una nazionalità o un’altra, riporto quello che ho trovato qua. Pare che babka significhi Nonnetta in ucraino, in russo e in Yiddish (quello parlato in Europa dell’est) e pare anche che inizialmente le nonnine intrecciassero gli avanzi di challah guarnendoli con semi e frutta secca e non è stato fino a quando gli ebrei dell’est Europa sono arrivati a New York, dove il cioccolato era a buon prezzo, che questo è stato usato per arricchire l’impasto dei (o delle?) babka. In ogni caso questa ricetta in particolare è dello straordinario Yotam Ottolenghi e nello specifico è riportata nel suo libro Jerusalem anche se lui la chiama Kranz. Con queste dosi ne vengono due ma date retta a me, non dimezzate perché lo rimpiangereste. Una bella babka congelata a fette e riscaldata nel microonde al mattino sarà una colazione degna di un re.

babka al cioccolato

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Babka al cioccolato e noci
Tempo di preparazione 30 minuti
Tempo di cottura 40 minuti
Tempo Passivo 15 ore
Porzioni
Ingredienti
Per l'impasto:
Per il ripieno:
Per la finitura:
Tempo di preparazione 30 minuti
Tempo di cottura 40 minuti
Tempo Passivo 15 ore
Porzioni
Ingredienti
Per l'impasto:
Per il ripieno:
Per la finitura:
Istruzioni
  1. Portate il burro a temperatura ambiente. Mettete nell'impastatrice farina, lo zucchero, le uova e poi il lievito disciolto in acqua. Incominciate ad impastare inizialmente con la spatola K fino a che l'impasto non comincia a stare insieme. Mettete il gancio ed iniziare ad aggiungere il burro un pezzetto per volta aspettando che sia incorporato bene prima di aggiungerne altro. Impastare per una decina di minuti a velocità media, fino a quando l'impasto non incomincerà a staccarsi dalle pareti della vasca dell'impastatrice. Coprite con pellicola e fate riposare 1h e 30 all'interno del forno con la cucina accesa e poi almeno due ore in frigo oppure tutta la notte (questo vi permetterà di usare meno lievito).
  2. Preparate il ripieno facendo sciogliere il burro insieme al cioccolato nel microonde a media potenza per non bruciare il cioccolato. Aggiungete lo zucchero a velo ed il cacao. Mescolate bene e fate raffreddare. Tritate le noci grossolanamente.
  3. Prendete l'impasto direttamente dal frigo, dividetelo a metà e fatene due rettangoli di circa 30X40 cm. Spalmate su uno dei due rettangoli la metà della crema di cioccolato e distribuitevi la metà delle noci ed un cucchiaio di zucchero semolato. Ripetete con l'altro rettangolo. Arrotolate ogni rettangolo per la lunghezza quindi tagliate i rotoli ottenuti a metà sempre nel senso della lunghezza. Intrecciate avendo cura di mantenere la parte col cioccolato rivolta sempre verso l'alto. Mettete le due trecce ottenute in due teglie da plumcake rivestite di carta forno e fate lievitare per 1 ora circa o comunque fino al raddoppio. Cuocete in forno preriscaldato a 190° (io 180°) per 30-40 minuti.
  4. Preparate lo sciroppo scaldando leggermente il miele insieme all'acqua di rose e l'acqua e spennellatevi le trecce appena sfornate.
Recipe Notes

Nel complesso la ricetta mi è piaciuta molto. La prima treccia è sparita in 3 ore circa e devo dire che calda dà veramente il suo meglio. La seconda la dovevo fotografare e non avendo tempo è rimasta ferma per due giorni. Ovviamente a quel punto aveva perso un pò di morbidezza ma l'ho comunque congelata a fette e passata nel microonde fa comunque la sua figura. In quanto alle modifiche, la prossima volta (perché una prossima volta ci sarà di certo) sostituirò le noci con le nocciole e ometterò l'acqua di fiori d'arancio perché rende il tutto un pò troppo profumato, per i nostri gusti. Ricetta promossa a pieni voti, come sempre quando si tratta di Re-cake del resto.

p.s. Le strisce nere sopra la babka non sono bruciate ma bensì una golosissima crosticina cioccolatosa ?

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babka al cioccolato

babka al cioccolato

Con questa ricetta partecipo al Re-Cake #18. Questa la pagina Facebook

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e porto anche la mia Babka a Panissimo#44, la raccolta di lievitati dolci e salati ideata da Sandra di Sono io, Sandra, e Barbara, di Bread & Companatico, questo mese ospitata dalla Sandrina.

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nepal

Ho deciso di scrivere ancora del Nepal, un post dove non facesse semplicemente il contorno ad una ricetta ma che raccontasse i miei ricordi di un luogo che non esiste più, almeno come l’ho visto io, a causa del terribile terremoto del 2015 che ha fatto quasi 9.000 morti. Un tributo ad un paese che insieme alla sua gente si è impresso profondamente nel mio cuore e da questo ho tratto il titolo del post. Le Lung-ta infatti sono le piccole bandierine colorate attaccate ai fili che si vedono intorno ai luoghi sacri al Buddismo o ai templi, esposte dove c’è maggior corrente perché il vento le faccia sventolare, permettendo così ai mantra di buon auspicio e compassione  che vi sono scritti, di raggiungere ogni essere vivente. Questo post vuole essere una specie di Lung-Ta per il Nepal, l’augurio che questo paese, il quinto più povero del mondo già prima del terremoto, possa trovare la forza di risollevarsi e di reagire nonostante il fatto che, come sempre succede, il suo dramma sia stato presto dimenticato. La ricostruzione è lenta e difficoltosa, i beni di prima necessità continuano a scarseggiare e gran parte della popolazione è costretta ancora oggi a vivere in rifugi temporanei. Non possiamo fare molto ma perlomeno non dimentichiamoci completamente di loro. Il Nepal è un luogo stupendo ed invito chi ne avesse la possibilità a visitarlo. Farete del bene a voi stessi ed aiuterete la popolazione a riprendersi. Ne hanno veramente bisogno, tanto.

nepal

Agosto 1990. Con mio padre decidiamo di visitare il Nepal. Sette giorni insieme e poi lui tornerà  a casa ed io proseguirò il viaggio da sola per altri 25 giorni. Estate calda sotto tutti i punti di vista infatti proprio mentre stiamo passeggiando per il popolarissimo quartiere di Kathmandu, Thamel, il 3 agosto, mio padre vede su di un giornale la foto di Saddam Hussein. “Cos’ha combinato ora quel cretino?” mi chiede, dato che l’articolo è in inglese. Il “cretino” ha appena invaso il Kuwait, atto che porterà alla guerra del golfo. L’ambasciata ci consiglia di rientrare in patria velocemente per l’alto rischio di chiusura degli spazi aerei ma decidiamo di restare comunque mentre tanti preferiscono ripartire subito. A causa di questo Kathmandu quindi si spopola e considerando che Il Nepal nel 90 non é ancora così visitato, ci offrirà scorci davvero meravigliosi e relativamente tourist free. La prima cosa che noto sono i bambini. Tantissimi, soli, i più grandicelli con in braccio i più piccoli. Faccine sporche ma sorridenti, abitini laceri, ricuciti con mille toppe, gli occhi grandi e saggi di chi ha già visto troppo. Mi circondano chiedendomi “bum bum” e giocano con dei fili saltandoci sopra a turno e nonostante tutto ridono, ridono tanto. La seconda cosa è lo stridente contrasto tra le zone popolate da nepalesi e quelle popolate da profughi tibetani che abitano principalmente nella valle di Kathmandu. Dove nelle prime c’è chiasso e confusione, nelle seconde regna il silenzio rotto soltanto dai tintinnii delle Ghanta, le campanelline rituali che stanno fuori dai templi e il cui suono è di buon auspicio e serve a scacciare gli spiriti maligni. La terza, lo smog. I palazzi coperti da uno spesso strato nero, il naso che alla sera ne pare interamente rivestito, la pelle sporca come di fuliggine, tanto che quando rimasta sola mi unirò ad un gruppetto di ragazzi e noleggeremo delle moto per raggiungere luoghi altrimenti off limits, saremo costretti a proteggerci naso e bocca con fazzoletti, a mò di rapinatori di banche del far west. Un paese dai mille contrasti il Nepal. Monaci buddisti che passeggiano lenti all’ombra degli stupa recitando l’Om e animali che vengono sgozzati in offerta alla dea Kali nel tempio di Dakshinkali tra le urla e il sangue che si riversa nel fiume tingendolo di rosso, panorami mozzafiato di maestose montagne innevate come si vedono solo nel “Signore degli anelli” e credenze altrettanto fiabesche come quella che della Kumari, la dea vivente di Katmandu. La Kumari, termine che significa “vergine”,  viene scelta tra le bambine di 4/5 anni appartenenti alla casta degli orafi e degli argentieri. Il suo corpo deve rispondere a 32 requisiti particolari; tra le bizzarre caratteristiche, deve avere le ciglia come quelle di una mucca, una bella ombra, il corpo come un albero di banano e le guance come quelle di un leone. Per valutare il coraggio e di conseguenza scegliere una bambina fra le tante, le prescelte vengono rinchiuse durante la notte della festa di Dashain in una stanza buia, tra teste di capre e 108 bufali sacrificati in onore della dea Kali insieme ad uomini mascherati da demoni che urlano e fanno rumore per spaventarle. Quella che non piangerà o che comunque mostrerà più coraggio diventerà  la Kumari. Essere Kumari porta ovviamente un grande onore alla famiglia ma la bambina va incontro ad un’infanzia di privazioni. Sarà rinchiusa nel palazzo reale insieme ad uno stuolo di domestici, riceverà le poche e permesse visite dei genitori e non riceverà istruzione in quanto essendo Dea si ritiene abbia in se tutta la conoscenza. Le poche volte che uscirà dalla sua prigione sarà su di una portantina dorata perché non può toccare il suolo con i piedi e sarà libera solo con la prima mestruazione perché a quel punto sarà diventata impura e dunque la dea non potrà più abitare nel suo corpo. Stessa cosa avverrà se perderà sangue accidentalmente. Verrà deposta e le sarà concessa una specie di dote che difficilmente le servirà per un marito perché si dice che sposare una ex kumari porti a morte sicura. Ho letto in seguito di domestici compiacenti che in anni più recenti, per qualche rupia, mostravano la kumari ai turisti, così come si mostrano le scimmiette in gabbia ai bambini negli zoo, ma nel 90 non era così perché le regole erano molto rigide e stabilivano che la Kumari potesse mostrarsi solo in rare occasioni; così quell’estate ho assistito a numerosi quanto inutili appostamenti nel cortile del palazzo reale per intravederla anche solo per un attimo. Ma io, in quella strana estate, Rashmila Shakya l’ho vista. Passeggiavo nel cortile del palazzo reale, da sola, scattando foto ai balconi in legno meravigliosamente intarsiati e d’improvviso nell’obbiettivo c’era lei. Il volto pesantemente truccato, il terzo occhio dipinto sulla fronte, un’acconciatura elaborata ma il volto melanconico era quello di una bambina Era in braccio a qualcuno, nonostante avesse già credo 10 o 11 anni. Mi ha guardato seria, ha alzato appena la mano ed è sparita. Quando penso al Nepal rivedo il suo viso triste ed anche se forse la sua storia è quella che ha avuto un epilogo migliore rispetto a quella delle altre Kumari (dal Nepali Times) ogni tanto il suo ricordo torna a turbarmi.

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Per il periodo trascorso con mio padre abbiamo alloggiato in un hotel di lusso, una specie di reggia che un tempo era stata la residenza del re e che mi ha reso molto difficile “entrare” nell’atmosfera nepalese. Dal diario le mie prime impressioni. -“Mi sveglio alle 16 a causa del jet lag. Fa freddo perché l’aria condizionata non può essere regolata. O spenta o al massimo. Mio padre dormirà sicuramente e quindi decido di uscire. In strada mi riassale quello strano odore dolciastro, come di frutta fermentata e di fogna insieme che avevo sentito appena scesa dall’aereo e del quale avevo letto in tanti libri, solo che qua è più forte, quasi insopportabile. Incomincia a piovere così sono costretta a rifugiarmi in una specie di supermercato. È ben fornito, vendono anche la crema Nivea e le Superga. Il Nepal sta già perdendo un pò del suo fascino ma quando esco il vero Nepal è lì che mi aspetta. Il supermercato è per i turisti. I nepalesi non potrebbero mai permettersi quello che ha in vendita. I loro “negozi” sono ben diversi, sgabuzzini bui con il soffitto basso dove i commessi sono seduti per terra, sullo sporco, ad aspettare i clienti. Non ci sono scaffali, vetrine o insegne e quello che si vende è scritto con la vernice nera sulla parete. La gente mi guarda. Sono l’unica turista nei dintorni e qualcuno mi sorride, le donne soprattutto, che sembrano sconcertate dal colore dei miei capelli e molto probabilmente dalla mia impudicizia (ho dei bermuda anche se piuttosto lunghi). Loro indossano sari colorati, soprattutto rossi, rosa ed arancio ed hanno occhi liquidi e profondi e stupendi capelli nero bluastri, come l’ala di un corvo. Dappertutto ci sono mucche e cani sdraiati tranquillamente in mezzo alla strada ma nessuno pare stupirsene. La gente si limita a scavalcare i cani e ad aggirare le mucche, per l’uccisione delle quali la legge nepalese prevede 10 anni di carcere. Gatti non ce ne sono perché, come ho letto prima di partire, sono animali che portano sfortuna. I cani seguono i banchetti di nozze, i gatti i funerali, recita una filastrocca nepalese, così ne uccidono quanti possono. Da un lato della strada c’è una mucca con una grande ferita su di un fianco. Mi guarda con occhi colmi di dolore e io chiudo velocemente i miei e continuo a camminare. Poco più avanti c’è una cagna che ha messo il suo cucciolo in un cantuccio e sembra fargli da guardia. Il cucciolo è magrissimo e si lamenta forte. Forse avrà fame ma io non ho niente con me, neppure soldi, così mi allontano piangendo e sentendomi completamente inutile. Le persone che mi passano accanto guardano le mie lacrime incuriosite. Vagli a spiegare che piango per una mucca ed un cane che molto probabilmente moriranno, quando loro non hanno cibo da dare ai figli. Mi è venuta una tristezza incredibile. Questo è il mio primo viaggio in un paese del terzo mondo ed è straziante tanta sofferenza e povertà. La tv rende tutto molto più “addomesticato” ma vederlo con i propri occhi è terribile. Continuo a camminare inciampando e passo davanti ad uno stanzino ancora più piccolo e buio dei precedenti. Dentro c’è un omino magro, seduto per terra e ai suoi piedi, sul pavimento di terra battuta, c’è un grosso pezzo di carne sanguinolenta interamente ricoperta di mosche. È un macellaio ma quell’unico pezzo di carne è tutto quello che il suo misero negozio ha da offrire. La stanchezza, ora però mista a depressione, torna a farsi sentire quindi decido di tornare indietro. Si sta facendo buio e non conosco la zona. Questa volta percorro la strada sull’altro lato. Qua la maggior parte dei negozi vende articoli come saponi, stracci, stecchi legati insieme che immagino siano le loro scope e strane ed antiquate figurine di uomini e donne riccamente abbigliati che probabilmente sono gli attori o i cantanti nepalesi più amati. Proseguo scansando le mucche ed infine raggiungo il mio albergo. Mi faccio una doccia e scendo al ristorante perché domani dobbiamo svegliarci presto ed ho bisogno di dormire, ed è con una sensazione di grande irrealtà che mi siedo nella grande sala dorata e guardo i camerieri servirmi brioches salate e burro..”-

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Nonostante il suo ostinato tentativo di farmi cambiare idea, appena mio padre è partito mi sono immediatamente trasferita in una guest house per backpackers che costava un decimo, il Rara. Essendo sola, che è la condizione che preferisco per viaggiare, a volte mi sono unita ad altri viaggiatori ma soprattutto questo mi ha permesso di entrare in contatto con la gente del luogo e questo è ciò che ricordo con maggior piacere, più dei paesaggi e dei templi pur bellissimi. Dal diario:

15 agosto

-“Stamani alle 8 sono venute a pulirmi la stanza due ragazze nuove che sono sorelle e nonostante parlassero poche parole di inglese, dopo 10 minuti eravamo tutte e tre sedute sul letto a fumare e a ridere come delle matte. I loro nomi sono Tina e Sorsutì. Sorsutì è la più maggiore, ha 25 anni ed è vedova, quindi non avrà mai più un marito perché in Nepal le vedove portano sfortuna. Questo vuole anche dire che il sostentamento della famiglia spetta esclusivamente a lei ed è evidente dall’aspetto che le due non se la cavino affatto bene. Ero così triste per loro che ho regalato loro tonno, marmellata, biscotti, un pacchetto di sigarette, un fermacapelli di brillantini e una bottiglietta di cognac che mio padre aveva preso in aereo. Quello che non mangiano o bevono potranno comunque scambiarlo con beni di altro genere. Erano così felici che per ringraziamento mi hanno acconciato i capelli nepali style.
22 agosto
Stamattina Tina e Sorsutì mi hanno portato in dono 12 braccialetti di metallo che una volta messi non sono più riuscita a togliere e un sacchetto con 4 tika a goccia (sono le decorazioni che si portano in mezzo alla fronte); hanno anche voluto farmi un’altra pettinatura nepalese, questa volta con 2 trecce. Gli ho insegnato alcune parole in inglese e in italiano e loro invece alcune parole nepalesi che mi saranno molto utili come “Maddat garnu malaai jadoo maakuraa” che vuol dire “Aiuto, ho paura dei ragni”.
A metà mattina Tina ha tirato fuori un coltellone ed un frutto che non conoscevo, lo ha lavato, sbucciato e tagliato a spicchi. Era buonissimo, una specie di pera non granulosa e leggermente acidula. Mi hanno accomodato la radio (non c’ero mai riuscita da quando mi sono trasferita qua) e poi hanno ballato per me. Infine, tra molte esitazioni, mi hanno invitata ad andare a dormire da loro, domani, quando finiscono di lavorare e io ho risposto che sarà per me un grande onore.
23 agosto Teej Brata
Oggi inizia il Teej Brata, una festa rigorosamente femminile. Le donne sposate indossano i loro sari più belli, quelli rossi e oro del matrimonio e pregano Shiva e la moglie Parvati per la salute del consorte e per una felice vita coniugale. La festa dura tre giorni, si fanno bagni rituali nel fiume sacro Bagmati, a Pashupatinath e si banchetta il primo giorno e si digiuna gli altri due. Fa caldissimo, ho avuto giramenti di testa tutto il giorno ma alle 15 sono venute Tina e Sorsutì a pettinarmi e a truccarmi e non potevo deluderle. Alle 17 siamo uscite separatamente perché è severamente proibito per i dipendenti familiarizzare con gli ospiti della Guest House. Abbiamo preso un tuktuk che hanno voluto ostinatamente pagare e ancor prima di scendere, Sorsutì ha cominciato a scusarsi per la sua casa: “No good. No nice. Sorry” continuava a dirmi ma ho cercato di calmarla dicendole che non mi importava nulla della sua casa ma solo del fatto che erano state gentilissime ad invitarmi. Abitano sulla strada per Pashupatinath e prima di andare a casa mi hanno portato a visitare il fratello. La famiglia era tutta riunita ad aspettarmi perché è un grande onore ospitare uno straniero. C’erano il fratello, la cognata ed il nipotino. La casa era molto molto povera ma pulita, con teli di plastica al posto delle finestre. Mi hanno offerto una specie di aranciata ed abbiamo riso molto perché non parlavano neppure una parola di inglese e quindi non riuscivamo assolutamente a capirci. Mentre più tardi, a piedi, ci dirigevamo alla casa di Sorsutì che era lì vicina, mi hanno tirato tre sassi, uno dei quali mi ha colpito il ginocchio sinistro facendolo sanguinare. Kabhindra, il capo della mia guest house, la prima volta che mi è successo perchè mi è già successo altre volte, mi ha spiegato che io sono, per gli induisti, una Intoccabile; allo stesso tempo però, il mio tipo (capelli biondi e pelle chiara) rappresenta una forte attrattiva per gli uomini che vorrebbero toccarmi ma non possono, altrimenti sarebbero costretti a bere pipì di mucca per purificarsi, quindi si “sfogano” con i sassi. Che fortuna.. La loro casa è, se possibile, ancora più povera. I bambini di Sorsutì, un maschio ed una femmina, sono molto carini e mi guardano con gli occhi spalancati. Nella casa c’è un solo letto, in realtà nient’altro che un rialzo di legno con sopra delle stoffe, dove dormono Sorsutì e la figlia mentre Moes, il figlio, dorme per terra. Tina invece vive col fratello. Sopra alla stanza c’è la cucina, un bugigattolo buio con un calderone e un grande buco nel tetto di legno per far uscire il fumo. I bambini hanno ballato e cantato per me e poi Sorsutì si è messa a cucinare un piatto di patate speziate, quindi ci siamo seduti per terra, nella camera, a mangiare. Oltre al pensiero del cibo avevo quello dell’acqua. Era contenuta in un secchio ma non potevo certo offenderle rifiutandomi di bere. Sul letto c’era una zanzariera mentre le finestre erano semplici buchi nella parete. Io mi sono affacciata ed eccomi un’altra sassata, questa volta sulla fronte. Tina e Sorsutì si sono scusate ed affacciandosi dal buco hanno urlato qualcosa ma io comunque non mi ci sono più avvicinata. La serata è proseguita tra poche chiacchiere e tante risate. Quando è calato il buio Sorsutì ha acceso le candele e notando solo allora che non c’era l’elettricità, ho anche notato che le stanze erano solo due e che il bagno mancava. Ovviamente al pensiero è seguita istantaneamente l’esigenza di usarlo, quel bagno che non c’era e dopo essere riuscita a spiegarlo a Sorsutì e dopo almeno 5 minuti di risate sue e di Tina, mi hanno fatto scendere in strada, mi hanno portata sul retro ed hanno usato due sari per improvvisare una specie di tenda che potesse garantirmi un minimo di privacy. Salutata Tina che è tornata dal fratello, siamo rientrate in casa ma quando mi sono accorta che mi stavano preparando il rialzo di legno mi sono rifiutata e mi sono sdraiata sul giaciglio di Moes. Per terra era duro ma io l’indomani avrei potuto dormire mentre per Sorsutì sarebbe stata un’altra giornata di lavoro quindi ne aveva più diritto di me. Prima di addormentarmi ho girato la testa verso la “finestra” e l’ultima cosa che ho visto è stata la luna, piena e straordinariamente luminosa nel buio totale.”-

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Sorsutì

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Tina, Sorsutì, la cognata ed il fratello

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nepal                                                                  Io, Tina ed i bambini di Sorsutì

 

Un ultimo stralcio dal diario, per ricordare attraverso di lei tutti i bambini del Nepal:

7 agosto

-“Oggi siamo andati a vedere un templietto buddista in cima ad una collina. Pioveva a dirotto e dentro le mura ma comunque all’aperto, c’erano una giovane donna, un gobbo ed un vecchietto. La donna aveva un fagotto tra le braccia e solo dopo un pò che la guardavo ho visto spuntare un visetto tra gli stracci. Era un bambino di poche settimane, bagnato fradicio nonostante la donna cercasse di ripararlo. Appena gli altri due si sono allontanati, mio padre le ha dato dei soldi. Subito dopo l’ingresso alle mura c’era una specie di canonica dove lei evidentemente non poteva entrare. Era un posto bellissimo, tutto decorato in blu e  i monaci stavano cantando. L’atmosfera elra molto suggestiva e si respirava una tale pace che ho deciso di chiedere se potevo fermarmi. Il monaco responsabile mi ha detto che ci sono delle stanze comuni dove i viandanti possono restare, ma sono solo per uomini. Pareva scioccato dalla proposta ma mi ha comunque detto che apprezzava il fatto che, parole sue, “proprio nel suo monastero la mia anima avesse scelto di manifestare la necessità di chiudersi in se stessa come i petali del fiore e meditare”. Usciti dal monastero ci siamo accorti che il vecchino ci aveva seguiti così gli abbiamo regalato una sigaretta e lui con una bocchina tutta sdentata ci ha ringraziato con il namaste e se ne è andato tutto contento. Prima di tornare in albergo ci siamo fermati vicino ad un ponte di quelli sospesi tipo Indiana Jones e lì c’era una bambina stupenda che invece di chiedermi soldi, indicava l’elastico argentato che mi tratteneva i capelli. Io le ho fatto capire a gesti che non potevo perché era troppo caldo per portare i capelli sciolti ma lei non si è indispettita ed ha continuato a sorridermi. Le ho fatto delle foto e poi le ho chiesto come si chiamava. “Mana”, mi ha risposto, “Mana Nepal”. Il ragazzo che era con noi allora mi ha spiegato che il suo nome era Mana che in nepalese vuol dire cuore. Col cognome però si identifica la casta quindi Mana, per evitare l’umiliazione di rivelare la sua che evidentemente era la più bassa, ha preferito inventarsi un cognome ed ha scelto la prima cosa che le è venuta in mente, la sua nazione. La cosa mi ha fatto stare così male che mi sono slegata i capelli e le ho messo l’elastico in mano. Lei è rimasta a guardarmi con gli occhioni sgranati perché non poteva credere che glielo regalassi veramente e continuava a guardarmi come se temesse che cambiassi idea, allora io le ho raccolto i capelli con l’elastico argentato e lei finalmente si è permessa di sorridere. L’ho salutata ma lei ci ha seguiti e quando siamo saliti sul pulmino e ci siamo allontanati ho continuato a guardarla fissa dal vetro posteriore. La sua figurina è pian piano rimpicciolita ma nell’ultima immagine che sono riuscita a cogliere, lei era sempre li che ci guardava, immobile, con la manina alzata”-

Non oso chiedermi dove sia Mana ora, se stia bene o se invece sia una dei 9000 scomparsi  nel terremoto. Non so nulla di Tina, Sorsutì, la sua famiglia, il fratello. Niente di Kabhindra. Posso solo sperare che siano sopravvissuti e posso ricordarli attraverso queste righe affinchè qualcun altro conosca le loro storie, i loro volti. Volti di chi, in una vita di privazioni, ha avuto la forza di sorridere sempre, nonostante tutto.

Che la mia Lung-Ta sventoli sempre forte per tutti loro ❤️

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