Tanti tanti anni fa, appena prima di compiere i 16 anni, mio padre decise di mandarmi a Londra a frequentare un corso estivo di inglese. Ai tempi c’era la Mondadori che li organizzava: scuola + sistemazione in famiglia comprensiva di colazione e cena. Inutili i miei tentativi di convincerlo che avrei avuto più possibilità di imparare l’inglese se avessi abitato in centro. Ahimè, fui destinata ad una famiglia che abitava in Wandsworth Common che allora era periferia ma che adesso, con lo sviluppo dell’aerea metropolitana londinese, è diventata uno dei 35 distretti della Inner London, cioè i quartieri che formano la parte centrale di Londra. La cosa tragica era che ai tempi l’unico modo per raggiungere Wandsworth era via bus (e io non parlavo abbastanza bene inglese per sentirmi sicura di scegliere quello giusto di notte) o via treno e l’ultimo treno diretto a Wandsworth partiva da Londra alle 22. La vacanza studio quindi perse molta della sua attrattiva anche se comunque la scuola era in centro e così almeno il pomeriggio me ne stavo in giro con i miei compagni (quasi tutti italiani) fino a che, come Cenerentola, la mia zucca mi riportava a Wandsworth, proprio quando l’azione cominciava. L’inglese non lo imparai ma almeno mi feci un’idea su cosa avrei dovuto fare la volta dopo per godermela un pò di più. Così quando tornai a Londra pretesi di essere ospitata da una famiglia che abitasse in centro e questa volta la sorte mi sorrise davvero perchè l’indirizzo era Holland Park, una delle zone più ricche e belle di Londra (tanto per farvi capire: una mia amica che abita ancora in zona, beata lei, mi ha mandato una foto di David Beckham che tirava due calci al pallone insieme al figlio proprio nel parco dove ero solita passeggiare). Il padrone di casa era un discografico famoso che non si vedeva mai, la moglie era una tipa alquanto alternativa, una hippie assolutamente fuori luogo in quell’ambiente di Bentley e Rolls e poi c’era il figlio, Jamie, un bambino di 3 o 4 anni che era stato cresciuto allo stato brado per non “tarpare le ali alla sua creatività condizionandolo con regole da adulti”. Tradotto in fatti, questo voleva dire che Jamie poteva andare in giro distruggendo tutto ciò che trovava sul suo cammino e lanciando oggetti addosso agli abitanti della casa (ricordo in particolare il grosso livido sulla fronte provocatomi da una macchina fotografica compatta). Ne pativamo la follia io e l’altra ospite della famiglia, una ragazza giapponese di nome Akiko. Per sfuggire a Jamie, spesso io ed Akiko uscivamo insieme e passavamo serate tranquille a parlare davanti ad una pinta di sidro nel pub vicino a casa. Akiko era una studentessa di psicologia alll’università di Tokyo ed aveva deciso di passare l’estate a Londra per un motivo molto più intrigante dell’imparare l’inglese, infatti aveva conosciuto Curt Smith dei Tears for fears a Tokyo ed avevano avuto una storia talmente intensa che Curt l’aveva pregata di raggiungerlo a Londra. In realtà poi le cose tra di loro non andarono avanti per molto perchè i Tears for fears stavano vivendo un momento di fama straordinario e quindi Curt non aveva molto tempo disponibile per Akiko e in ogni caso lei voleva tornare a Tokyo finite le vacanze per conseguire il dottorato. La nostra amicizia però, al contrario di quell’amore, stava crescendo, tanto che cominciavo a trovare davvero straziante il pensiero di dovermene separare, così alla fine dell’estate la invitai ad allungare la vacanza e a venire con me in Italia, luogo che lei non aveva mai visitato. Furono tre settimane splendide. Visitammo molte città ma ricordo soprattutto Venezia, io e lei a passeggiare di sera tra le calli buie, lo sciacquettio dell’acqua, i nostri passi tranquilli, la sua risata sempre coperta educatamente dalla mano con quel fare grazioso e timido così ricorrente nelle donne giapponesi, le sue foto scattate a Sandra Milo incontrata in Piazza San Marco che le avevo detto essere l’attrice italiana più famosa al mondo, il nostro ostello dalle suore, un luogo inquietante, dalle mille statuette della Madonna nascoste nell’ombra e il fortissimo, stordente profumo di incenso. Guardava le ragazze per strada, Akiko, e si vedeva brutta con le sue palpebre appena accennate, gli occhi a mandorla, i capelli troppo dritti ed era inutile cercare di confortarla assicurandole che lei era diversa ed appunto per questo bellissima. E soffriva di depressione, un mal di vivere che ogni tanto la prendeva e le copriva il cuore con un velo nero e soffocante, che le impediva di vedere la luce e le sue molte qualità. E allora mi scriveva, lunghe lettere crocchianti di carta sottile, nelle quali riversava tutta la sua disperazione, la difficoltà della sua scelta di studi, psicologia, in un mondo dove esternare le proprie emozioni non era appropriato, la competitività che lei detestava, lo stress, la difficoltà di tenersi al pari. Pensava di non essere abbastanza intelligente, abbastanza sveglia, odiava il rigore del Giappone, la poca spontaneità, rimpiangeva il calore umano che aveva conosciuto in Europa, sognava di esercitare la sua professione in Inghilterra. Era cattolica Akiko ed ho ancora un santino di una bellissima Madonna con gli occhi a mandorla proprio come lei che avevo scoperto dentro una sua lettera, con scritto sul retro quanto mi sentisse vicina, come la sorella che non aveva mai avuto e come pregasse la Madonna per me. Ci siamo scritte per anni, senza che passasse un mese senza una sua lettera. Io ero tornata a Londra per restare, Akiko proseguiva i suoi studi a Tokyo e mi prometteva che ci saremmo presto riunite. Poi l’impensabile. Io cambio casa e le scrivo il mio nuovo indirizzo ad un indirizzo al quale lei non lo riceverà mai perchè contemporaneamente anche lei si è trasferita. Da allora la cerco, con ogni metodo possibile ed immaginabile: scrivo e telefono all’ambasciata giapponese dove mi rispondono che la privacy in Giappone è un concetto molto diverso dal nostro in Italia e che non è possibile darmi informazioni, mi iscrivo su uno dei primi social network, ICQ e successivamente su MySpace, poi Facebook, ma mi scontro col fatto che ci sono centinaia di Akiko Saito e molte di queste senza foto sul profilo, allora abbino la ricerca del suo nome al termine psicologia e scopro che un famoso psicologo giapponese si chiama Akiko Saito, comincio a mandare brevi messaggi tutti uguali su Facebook e vengo bannata perchè il sistema li riconosce come spam, fermo addirittura i giapponesi per strada lasciandogli il mio indirizzo e chiedendo loro se tornati in Giappone possono cercare sull’elenco telefonico quel nome per me, perchè oltre a tutte le altre difficoltà c’è anche quella dei caratteri che io ovviamente non so leggere e che mi impedisce ricerche più approfondite. Poi un giorno ricevo un messaggio su Facebook. E’ una delle tante Akiko Saito alle quali ho mandato un messaggio che si è impietosita leggendolo e che si dichiara disposta ad aiutarmi. Le fornisco tutti i dati che possiedo, i precedenti indirizzi di Akiko, la data di nascita, le mando anche la foto di quando si è laureata perchè, mi spiega, in base all’abito si può capire che università ha frequentato. Questa straordinaria sconosciuta, alla quale porterò riconoscenza eterna, nonostante i mille impegni perchè ha un’impresa di design, comincia a visitare uno dopo l’altro, i luoghi dove Akiko ha vissuto e l’università dove ha studiato e finalmente trova una traccia: un professore di nome Yoshino conosce Akiko perchè ha insegnato alla sua classe. Si scambiano qualche mail e il Professor Yoshino fornisce un’indirizzo mail che però purtroppo non risulta più attivo. Indirizzo che alla fine ha .uk. Pare quindi che Akiko abbia realizzato uno dei suoi sogni infatti trovo in rete il riferimento ad una Akiko Saito nata esattamente lo stesso giorno dello stesso anno in cui è nata lei che risulta insegnante esterno all’università di Cambridge, allora scrivo all’università chiedendo informazioni ma non mi rispondono. Nel frattempo l’altra Akiko continua instancabilmente a cercare tramite le università ma la ricerca si complica ulteriormente perchè si trovano sue tracce solo fino al 98 dopo di che sparisce perchè probabilmente si è sposata ed ha preso il nome del marito. Riesce però a scovare due studenti che si sono laureati con lei e che le parlano di una grave depressione. E qui purtroppo la ricerca si interrompe. Nessuna altra informazione, nessuna traccia da allora, ma io non mi rassegno e soprattutto non dimentico perchè quando due vite si sono incontrate ed intrecciate come le nostre, non è possibile che sia stato per caso. Una volta al mese torno su Facebook, cerco in rete il suo nome, controllo gli insegnanti di Cambridge e oggi scrivo questo post nel caso che, per qualche strano scherzo del destino, qualcuno che la conosce legga il post, ce la riconosca e la riporti da me, a casa.
Ingredients
- Per i Katsu:
- 200 g di gamberi sgusciati crudi
- 1 cipollina fresca
- 1 albume
- 1 cucchiaio di farina di mais
- 50 g di pangrattato
- Sale
- Pepe
- Prezzemolo tritato
- Farina bianca
- 2 panini da hamburger (io impasto del challah)
- Insalata o cavolo cinese
Instructions
Sciacquate i gamberi in acqua fredda ed asciugateli bene con carta assorbente.
Mettetene metà in una ciotola e l'altra metà mettetela in un mixer insieme alla cipollina fresca tagliata a rondelle, il sale ed il pepe.
Azionate il motore ad intermittenza perchè dovrete ottenere un composto non troppo fine.
Unitevi la farina di mais, l'albume, il prezzemolo ed il resto dei gamberi e tritate di nuovo ad intermittenza. I pezzettini dei gamberi dovranno rimanere visibili all'interno del composto.
Trasferite il composto in frigo dove dovrà compattarsi almeno per un'oretta.
Mettete il pangrattato in una ciotola bassa e larga mentre in una ciotola più piccola mettete 3 cucchiai di farina disciolti in poca acqua. Dovete ottenere una specie di pastella della consistenza della pastella per le crepes.
Prendete il composto dal frigo e dividetelo in due palline che appiattirete con le mani leggermente bagnate. Il composto tende a separarsi ma passandolo nella farina e nel pangrattato diventerà gestibile.
Tuffate i due hamburger nella pastella di farina e successivamente passatele nel pangrattato facendo attenzione che aderisca anche sui lati.
Trasferite gli hamburger così ottenuti in abbattitore a +3° per una mezz’ora (in frigo ci vorranno due ore circa)
Preriscaldate il forno a 200° modalità ventilato, mettete gli hamburger su di una teglia da forno rivestita di carta forno, spruzzateli o spennellateli d'olio e cuocete per circa 5 minuti per lato, dopo di che ripassate altri 2,3 minuti per lato modalità grill.
i katsu si possono surgelare in abbattitore sia da cotti che da crudi (basterà un’ora e mezzo) ma personalmente trovo più comoda la prima opzione perché mi permette di averli in tavola in 5 minuti senza dover rimettere mano a padelle o tegamini.
Notes
Ho letto la ricetta dei katsu sul sito della BBC Good Food ma cercando in giro non sono riuscita a trovare molte notizie su questo piatto se non che katsu indica un piatto giapponese di pollo/maiale schiacciato, impanato con panko (che è un particolare tipo di pangrattato ottenuto con pane bianco tipico della cucina giapponese) e poi fritto. In fondo al post metto il link su come preparare il panko in casa se si volesse replicare il katsu esattamente alla maniera giapponese ma io ho usato un semplice pangrattato non troppo fine fatto in casa ed il risultato è comunque ottimo anche se la prossima volta il panko lo voglio provare. Il passaggio prima nella pastella di farina ed acqua e poi nel pangrattato l'ho aggiunto perchè la prima volta che ho cucinato i katsu si erano un poco sfatti. In questo modo invece restano belli compatti. La ricetta prevede la frittura che però ho sostituito con la cottura in forno ma siete liberi di provare la cottura originale.
Credits: BBC Good Food
Qui il link su come preparare il panko in casa se si volesse replicare il katsu esattamente alla maniera giapponese.
E questa è Akiko: la seconda studentessa a sinistra ❤
21 comments
Che bellissima e straziante storia di amicizia! Grazie x averla condivisa, spero che prima o poi le tue minuziose ricerche ti portino a riabbracciare la tua Akiko 🙂
Intanto mi addento uno dei tuoi strepitosi burger di gamberi e ti lascio un sincero augurio di felice domenica <3
Chissà. Magari prima o poi scrivendo di lei e continuando a cercare.. Grazie dell’augurio Consu, grazie davvero ❤️
Bellissimi ricordi come anche molto buoni i tuoi burgers !
Grazie Andreea. Apprezzo molo il tuo commento ❤️
questi burger sono davvero molto invitanti e preparati in modo impeccabile perchè immagino dalla ricetta che non sia facilissimo dargli una forma perfetta come hai fatto tu, quindi complimenti!
per il resto, leggerti ha sempre qualcosa di magico. credo che tu sia una persona capace di vivere la vita intensamente e le storie della tua adolescenza e prima giovinezza sono sempre ricche di emozioni e molto coinvolgenti… hai mai pensato di scrivere un libro? io lo leggerei molto, molto volentieri.
ovviamente ti auguro di ritrovre akiko ma in ogni caso sono sicura che in qualche modo il suo affetto continua ad arrivarle, anche se fosse dall’altra parte del mondo.
un abbraccio cara e buona settimana 🙂
…vi posso assicurare che questi burger, oltre ad essere semplici da fare, sono davvero una prelibatezza!!!brava Silvia :)))
E tu lo puoi ben dire che li hai assaggiati per prima 😉
Mi si è chiusa la gola. Un storia così splendida ed anche incredibile, nel senso che nell’era digitale ed attraverso i social, è assurdo che non si riesca a raggiungere la persona che si è perduta. Io sono convinta che anche lei ha continuato a cercarti. Mi è quasi venuto un colpo perché mia figlia quest’anno ha fatto lo scambio a Londra, e per l’appunto è stata ospitata da una famiglia mista, la mamma giapponese, AkiYo ed il papà francese e per un momento ho pensato a questa storia. Posso immaginare il tuo dolore ma io sono convinta che tornerete ad incontrarvi spinte dalla corrente della vita.
PS – leggendo il tuo about me mi è venuto da sorridere….siamo così simili anche in questo 🙂
Appunto Patrizia. Questa è una delle cose che più mi fa rabbia. Fosse successo anche solo 15 anni fa, avremmo avuto una il cellulare dell’altra e non solamente l’indirizzo e tra l’altro se lei mi avesse cercata qua in Italia, la casa dove abitava mia madre e dove siamo state ospiti quando lei è venuta da me non esiste più perché mio padre ne ha fatto 4 appartamenti che poi ha venduto. Non so Patrizia, non riesco a crederci più di tanto ormai è so bene che Akiko avrebbe odiato con tutta se stessa il fatto che io abbia raccontato la sua storia, messo la sua foto, ma è stato un tentativo, un altro. Fatto sta che quando ho letto quello che scrivevi di tua figlia per un attimo ma solo per un attimo piccolo piccolo ho pensato che quella signora giapponese potesse essere lei. Ti ringrazio comunque per le belle parole che mi hanno scaldato un po’ il cuore e se leggendo il mio About me ti ci sei riconosciuta, non mi fa altro che piacere. Tanto piacere ❤️
Leggo la tua tristezza e al contempo mi fa piacere il modo elegante e determinato con la quale insegui l’amicizia.
Prima o poi la troverai 🙂
Tiziana ❤️
Silvia tesoro! Rileggo per l’ennesima volta questo racconto e puntualmente mi sale un nodo in gola! Sarà che poi mentre lo faccio, riecheggia la tua voce nelle mie orecchie, dal momento che ho avuto il privilegio di toccare con mano quanta passione e Amore tu stia continuando a cercare Akiko.
Non sai quanto mi piacerebbe poterti aiutare! Ma quello che posso fare è sperare e pregare con te! E ti auguro, con tutto il cuore, che la Vita ti possa regalare la gioia di potervi riabbracciare!! ♥
Quanto a questo burger che dire? La forma del pane è stupenda (solo tu puoi!), la farcitura manco a dirlo e le foto son talmente vere che anche solo a guardarle sembra di sentire tutti i sapori di questa meraviglia!
Chapeaux, tesorina mia!
Vero. Tu sai meglio di chiunque altro quanto questa cosa mi faccia soffrire e so anche che se ci fosse qualcosa, qualunque cosa che tu potessi fare, la faresti e ringrazio per il cielo perchè un’amica l’ho persa ma di sicuro una l’ho trovata ❤️
avevo già letto questo post ma quando ci siamo viste, mentre pranzavamo insieme alle svalvolate e all’Elisabetta da me, ecco, quando hai cominciato a parlare di questa grande amicizia perduta e di tutto quello che hai fatto per ritrovare la tua Akiko,… beh, ci siamo commosse tutte, lo sai. che ti devo dire tesoro, la vita è imprevedibile, non perdere la speranza di ritrovarla, magari quando meno te lo aspetti scappa fuori dal cilindro, io ci voglio credere!
che bello essere amiche
E infatti io insisto e insisto e insisto. Non smetterò MAI di cercarla ❤️
Che storia particolare, la leggo solo adesso nel cercare alcune ricette…buone anche molte delle ricette. Auguri per la ricerca …
Ti ringrazio davvero ma a volte è difficile continuare a sperare..
…non so come ma il mio blog non è quello che appare sul mio nome…il mio + around-food.blogspot.com
Non sono la persona adatta per risponderti perché io di queste cose non ne capisco nulla 😂
una domanda, ma il pane che racchiude quel super burger lo hai fatto tu? http://around-food.blogspot.com
Si, il pane l’ho fatto io. È la ricetta del challah che a volte uso anche per il pane da hamburger. La ricetta la trovi sul blog in una versione arricchita da fichi, nocciole e formaggio. Togli quei 3 ingredienti ed ecco il pane per i katsu 😊