Tante sono le cose che mi afferrano come un gancio e mi trascinano in un nano secondo indietro, fino alla mia infanzia. Una, la più strana, sono le pietre rosse. Non so quale sia il motivo, ho cercato anche di scoprire se esistesse una qualche malattia associata ai colori perché quello che mi prende è una specie di stordimento, quasi un malessere fisico, come se la pietra mi risucchiasse e mi riportasse indietro, a quando mia nonna, da bambina, mi permetteva di giocare con la sua “scatola dei gioielli” che altro non erano che oggetti come quelli che ora si trovano nei mercatini di antiquariato, soprattutto spille tempestate di pietre colorate e mi succedeva la stessa cosa, provavo le stesse sensazioni. E cosa ancor più strana mi succede anche quando leggo su un libro una descrizione particolarmente riuscita di una pietra rossa.
Un altro è il profumo dei libri che ho sempre associato all’infanzia perché mi riporta alla prima volta che mia madre mi portò in una biblioteca. Ricordo come se fosse ora quella mattina, durante le nostre vacanze estive in montagna, quando partimmo per andare in un paese vicino dove c’era una biblioteca. Andare in biblioteca non era una cosa così scontata per me perché nel mio paese ai tempi ancora non c’era. Comunque entrammo e mi ricordo la sensazione di pace, di calma e poi, subito dopo, quel profumo particolare ed unico, di carta stampata ma anche un pochino, come nascosto, di polvere, di cose vecchie. Un odore estremamente confortante, che fa venire voglia di sedersi in un angolino e perdersi e dimenticare tutto con un libro tra le mani. Infine la meraviglia per quell’enorme quantità di libri e, cosa ancor più straordinaria, tutti a mia disposizione. Avrei potuto scegliere quelli che volevo e portarmeli a casa. Ora, per una bambina di 8 anni che si faceva fare le vaccinazioni senza piangere ne fare storie solo dopo la solenne promessa di passare dallo studio del pediatra direttamente all’edicola a comprare un librino (non c’era biblioteca nel mio paese ma neppure una libreria se è per questo), questo era un sogno divenuto realtà, come la promessa di un Babbo Natale tutte le settimane, o di un bignè tutte le mattine. Nonostante ormai la biblioteca ci sia anche nel mio paese e nonostante io vi abbia anche lavorato come volontaria, questo non mi impedisce di rivivere quel momento magico ogni volta che ne varco la soglia.
Un’altra delle cose che mi riportano alla mia infanzia sono le pastine di riso. Le pastine di riso rappresentavano il momento speciale, la domenica (ma non tutte) oppure qualche festa particolare, quando invece della comune colazione che di solito era pane e marmellata, si mangiavano le pastine di riso al bar. Non succedeva molto spesso, altrimenti il ricordo non avrebbe assunto tutta questa importanza nella mia memoria, ma quando succedeva era bellissimo. Questa cosa, in un mondo come quello di oggi, dove tutto è sempre a disposizione, dove non c’è più nulla di così speciale da aspettarlo per settimane intere, dove non si fa nemmeno in tempo a desiderare qualcosa che già il desiderio è soddisfatto, per i bambini risulta una cosa difficile da capire ma quant’era dolce quella pastina, com’era quasi dolorosamente buono quel primo morso, e quanto seriamente mi impegnavo a farla durare più a lungo possibile, fallendo ogni volta miseramente. Oddio, in generale le cose che mi piacevano sapevo farmele durare a lungo. Gia odiavo la carne ed adoravo i legumi quindi, quando c’erano i fagioli, li dividevo tutti a metà per raddoppiare la porzione mentre nel panettone toglievo i canditi e me li mangiavo dopo, con calma, uno ad uno, ma con le pastine di riso non c’era proprio modo di farle durare di più, nonostante ci provassi.
Questa ricetta in realtà sarebbe,almeno in parte, la ricetta della Pastiera della celebre pasticceria Scaturchio di Napoli, però ho usato la mia ricetta abituale della pasta frolla, ho sostituito il grano con il riso ed ho ridotto le dimensioni anche se le pastine della mia infanzia erano ancora più piccole di queste mini pastierine.
Definiamolo un omaggio toscano alla celebre Pastiera e che gli amici napoletani non me ne vogliano!
Ingredienti
Per la frolla:
250 g di farina;
100 g di zucchero;
2 tuorli
150 grammi di burro
scorze di limone grattugiato.
Per il ripieno:
250 g di ricotta mista (la ricetta prevede quella di pecora ma per me ha un sapore troppo forte)
250 g di zucchero (io ne ho messi 200)
250 g di riso già bollito (120 g da crudo circa) nel latte
2 uova
50 g di frutta candita
una stecca di vaniglia
Gocce di fior d’arancio a gusto vostro. Io assaggio. Attenzione a non metterne troppe perché se eccedete otterrete l’effetto che un mio caro amico di Casalmaggiore ha definito come l’effetto “Arbre Magic”
Riporto fedelmente da Scaturchio: Si fa in primo luogo la “fontanella di farina”. Nella farina si mettono gli ingredienti che vi ho indicati. Si mischia e, mano a mano, la farina assorbirà il tutto. Attenzione! L’impasto va fatto con mano leggera! Non bisogna pestare l’impasto!
Terminato l’impasto per la pastiera, si lascia riposare il tutto per almeno 24 ore.
E così io ho fatto. Ho preparato secondo i suoi dettami la pasta frolla che poi ho lasciato a riposare in frigo per 24 ore riportandola a temperatura ambiente un’oretta prima di infornarla. Intanto ho preparato il ripieno. Ho fatto bollire il riso nel latte, ho scolato l’eccedenza e poi l’ho fatto freddare. Ho poi preso un recipiente capace dove ho sbattuto le uova, la ricotta passata col setaccio, lo zucchero, i canditi a pezzetti, il riso bollito ormai freddo, i semini di una stecca di vaniglia e l’aroma di fior d’arancio. Qua cito di nuovo alla lettera Scaturchio: “Il segreto sta anche nel ” fior d’arancio”. Noi usavamo un profumo molto forte, che si chiama Neroli. Cinque gocce sono sufficienti. Il Neroli è quasi oro: una bottiglia da un litro costa circa 2.000 euro”.
Bellissimo, però io ho usato l’aroma Fior d’arancio del supermercato!
Ho preso la pasta frolla, l’ho stesa con il mattarello, ed ho foderato una tortiera da 24 con l’altezza di 6 cm che è proprio la classica teglia da pastiera facendo arrivare l’impasto fino ad una certa altezza che le permettesse di contenere il ripieno. Scaturchio consiglia una cottura di 200′ per un tempo che varia dall’ora all’ora e mezza ma il risultato migliore si avrà con una cottura più prolungata grazie alla quale “lo zucchero farà diventare la pastiera quasi lucida e un po’ brillante”.
Io non ho messo le striscioline di frolla che si trovano abitualmente sulla pastiera perché a me piace addentare il ripieno, troppo bello il contrasto tra croccante sotto e morbido sopra per metterle!
Con questa ricetta partecipo al contest I dolci del cuore di Dolci a gogo
6 comments
Gaia, un post stupendo!
le pastierine devono essere speciali, le foto sono bellissime, i pensieri sono così veri …..e i Sigur Ros? già con loro mi avresti conquistata, figuriamoci poi con tutto il resto!
bellissimo post!
grazie cara
Sandra
Ma grazie tesora mia. Vedi che qualcosa comunque ci accumunava già prima di conoscerci? Sigur Ros, musica per cibare l'anima quindi più adatta di così si muore
Un abbraccio
Anch'io ho ricordi d'infanzia associati alle pastine di riso! Da bimbetta quando andavo a trovare i nonni a Venezia, mi portavano in pasticceria a prendere le pastine di riso che chissà perchè nella mia città non erano cosi usuali!
Ricetta golosissima! 🙂
Ma che fortunata sei. I nonni a Venezia.. Allora avrai dei ricordi bellissimi anche tu, associati alle pastine di riso. E' bello tutto questo a dimostrazione che il cibo veramente nutre ben altro che lo stomaco.
Grazie per aver condiviso anche il tuo, di ricordi.
WAW mini sono ancora più strepitose!! Un abbraccio SILVIA
Io l'avevo fatto perché pensavo che così magari ne avrei mangiato meno ed invece me ne mangio due per volta 🙁
Un abbraccio anche a te