Profumo di Aligot

by burroemalla
Metti un viaggio in Costa Azzurra e metti una visitina a Nizza, vista innumerevoli volte ma per la prima volta con gli occhi di una food blogger. Mi si è aperto un mondo, un mondo visto attraverso l’obbiettivo della macchina fotografica e l’esperienza mi è piaciuta, tanto. Memore del consiglio della mia socia Sandra datomi al Taste di Firenze, “Ma come? Sei senza macchina fotografica? Ma non lo sai che una food blogger porta SEMPRE con se la macchina fotografica?”, questa volta non mi sono fatta cogliere impreparata e sono partita armata. Come dicevo, la Nizza che conoscevo e pure bene, è svanita dietro la Nizza inquadrata con l’obbiettivo, una Nizza fatta di angolini e di stradine ritagliate, di negozietti che parevano mondi a se, di persone colte nell’atto di fare qualcosa, come le due donne che sceglievano un’illustrazione in un mercatino dell’usato con le teste accostate una all’altra e che io voglio immaginare madre e figlia, oppure la negoziante che serviva le olive ad una cliente dove però a parlare sono le mani e non i volti, oppure i venditori di fragole. Non sono con questo foto perfette, ben lungi, ma raccontano momenti, momenti della vita di ogni giorno fermati per sempre e riflettendoci è strano pensare che madre e figlia non sapranno mai di essere state colte in quell’attimo e che quell’attimo ora lo guardano altre persone, in una nazione diversa e che loro, per chi ha visto la foto, resteranno per sempre e magicamente così, vicine, sorridenti, accostate una all’altra nella scelta di un’illustrazione.

 

 

 

 

Un viaggio in Costa Azzurra però, come in tutta la Francia del resto, è anche un viaggio da assaggiare, gustare, centellinare per gli innumerevoli piatti tipici, i formaggi, i vini, gli champagne e noi abbiamo giustamente approfittato. La Socca, la farinata di ceci molto simile alla nostra cecina tipica di Nizza, i calissons, che sono biscotti di mandorle a forma di losanga che costano un occhio della testa ma che quell’occhio se lo meritano tutto, la Tarte tropezienne che come la fanno a Saint-Tropez ovviamente non la trovi, la soupe a l’oignon, le Gratin Dauphinois, gratin di patate con panna fresca e formaggi, insomma tutta una serie di squisitezze non proprio dietetiche, per non parlare poi dei formaggi che ogni volta scopriamo non aver assaggiato la volta prima, il Saint Nectaire, le Fourme Ambert, l’Ossau Iraty, il Morbier, il Comtè, autentiche gioie per il palato ma altrettante gioie per il colesterolo ma una volta che ci sei che fai? Non approfitti?

 

 

 

 

E gli champagne che trovi ovviamente a prezzi impossibili da trovare in Italia e che io spesso tingo di rubino con una goccia o due di Creme de Cassis (io ho comprato il nero di Borgogna), liquore ricavato dai ribes di Dijon che con lo champagne diventa il Kir Royal, un cocktail che nella sua versione più semplice, il Kir, vino bianco e Cassis, pare debba le sue origini all’abate Kir che lo servì per la prima volta ai suoi ospiti a Digione. Ed i croissant, il pain au chocolat, le gelatine, la frutta candita brillante di sciroppo, i nougat..
Da oggi digiuno per una settimana!

 

 

 

E una delle scoperte di questo viaggio è stato un piatto che ancora non avevo mai assaggiato e che ho provato in un bistrot nascosto in una calle di Nizza: l’aligot. Un piatto semplice, fatto con patate, aglio e formaggi che però, già solo con il suo profumo eleva lo spirito e non di poco. Il sapore poi è anche meglio. Un bel bicchiere di Chablis ghiacciato e sei in Paradiso. Se non è comfort food questo..
Provare per credere!

 

 

 

Ingredienti per l’aligot: (4 porzioni normali oppure tre porzioni abbondanti)
400 g di patate
25 g di burro
mezzo spicchio d’aglio oppure uno, per i più coraggiosi
Due bei cucchiaioni di panna fresca
300 g di Tomme d’Auvergne oppure Tomme de Laguiole (formaggi piuttosto difficili da reperire qua da noi, quindi una toma piemontese oppure anche un pecorino semistagionato potrebbero andare)(lo so, lo so che 300 g di formaggio sono tanti ma non diminuite la dose, piuttosto mangiatene meno)
Sale e pepe bianco

 

 

 

 

Esecuzione:
Lessate le patate in acqua salata finchè non saranno tenere. Schiacciatele e rimettetele nel tegame nel quale le avete cotte e sbattete vigorosamente con una frusta unendo il sale, il pepe ed il burro fino a quando le patate non saranno vaporose e leggere. Prendete una padella e riscaldate la panna con l’aglio tritato fine fino a veder formarsi le prime bollicine, quindi versate la panna e l’aglio nel composto di patate, trasferite sul fuoco basso e mescolate  con un mestolo di legno finchè la panna non sarà completamente assorbita. Cominciate ora ad aggiungere il formaggio tagliato a dadini un poco per volta. Continuate a mescolare fino a quando il formaggio non sarà fuso completamente ed il composto diventerà cremoso e vellutato. Controllate di sale e servite immediatamente cospargendo con altro pepe macinato fresco.

 

 

 

 

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“L’angelo si trascinava qua e là come un moribondo senza padrone. Lo scacciavano a scopate da una camera e un momento dopo se lo ritrovavano in cucina. Sembrava trovarsi in così tanti luoghi nello stesso tempo che giunsero a pensare che si sdoppiava, che ripeteva se stesso per tutta la casa, e l’esasperata Elisenda gridava fuori di senno che era una disgrazia vivere in quell’inferno pieno di angeli. Poteva mangiare a malapena, i suoi occhi da antiquario si erano fatti così torbidi che camminando inciampava nei pali di sostegno, e ormai non gli restavano che le cannucce pelate delle ultime penne. Pelayo gli buttò addosso una coperta e gli fece la carità di lasciarlo dormire sotto la tettoia, e soltanto allora si accorsero che passava le notti con caldane e delirando in un barbugliamento di norvegese antico. Fu una di quelle poche volte che si spaventarono, perché pensavano che stava per morire, e nemmeno la vicina saggia aveva saputo dire che cosa si faceva degli angeli morti. Tuttavia, non solo sopravvisse al suo peggior inverno; ma parve perfino migliorare coi primi soli. Rimase immobile per molti giorni nel cantuccio più recondito del cortile, dove nessuno lo vedeva, e agli inizi di dicembre cominciarono a nascergli nelle ali delle penne grandi e dure, penne di uccellaccio vecchio, che sembravano piuttosto un nuovo danno della decrepitezza. Ma lui doveva conoscere la ragione di quei cambiamenti, e infatti si dava molto da fare perché nessuno lo notasse, e nessuno udisse le canzoni di naviganti che certe volte cantava sotto le stelle. Una mattina, Elisenda stava tagliando fette di cipolla per il pranzo, quando un vento che sembrava d’altomare penetrò nella cucina. Allora si affacciò alla finestra, e sorprese l’angelo nei primi tentativi del volo. Erano così goffi, che aprì con le unghie un solco d’aratro nell’orto e fu sul punto di demolire la tettoia con quelle alate indegne che scivolavano nella luce e non trovavano appiglio nell’aria. Ma riuscì a prendere quota. Elisenda emise un sospiro di requie, per lei e per lui, quando lo vide passare al di sopra delle ultime case, sostenendosi in qualche modo con un arrischiato starnazzare di avvoltoio senile. Continuò a vederlo fin quando terminò di tagliare la cipolla, e continuò a vederlo fin quando non era più possibile che potesse vederlo, perché allora non era ormai più un impiccio nella sua vita, ma un punto immaginario nell’orizzonte del mare.”

La magia delle sue parole. A Gabriel Garcia Marquez:
grazie!

La colomba è sempre stata una sfida per me. Ogni anno, con l’avvicinarsi di Pasqua, mi riprometto di provarci ed ogni anno puntualmente mi lascio scoraggiare dai vari post dichiaranti che la colomba con il lievito di birra proprio non s’ha da fare. Quest’anno però qualcosa è cambiato, infatti sono diventata la mamma adottiva del ragazzo della Sandra, il suo licoli, che ho già messo alla prova svariate volte e che mi ha dato immense soddisfazioni e quindi, incoraggiata anche da lei, ho deciso che o l’andava o la spaccava ma io quest’anno la colomba in forno ce l’avrei messa. La Sandra poi era caricatissima perché aveva prodotto una colomba da urlo con questa ricetta qui della Terry e quindi l’intoppo principale era solo riportare il licoli allo stato solido e poi organizzarsi con le preparazioni degli impasti. Gli stampi ce li avevo, gli ingredienti pure e quindi mi sono buttata nell’impresa ad occhi chiusi.

Per prima cosa ho riportato allo stato solido il licolì e poi ho rinfrescato tre volte fino a quando il lievito non mi è più che triplicato in meno di tre ore. A questo punto ho scaldato la Miss Baker (erano le 20 circa) e poi, a velocità 1 ho impastato la farina, lo zucchero e la madre aggiungendo poi gli albumi, i tuorli uno per volta ed infine il burro a temperatura ambiente, aumentando la velocità a 2 ed aspettando sempre che si incorporasse un pezzettino prima di metterne un altro. All’inizio sembrava impossibile che la massa mi prendesse tutto il burro della ricetta perché l’impasto sembrava già piuttosto bagnato ma lavora lavora se lo è preso ed alla fine tirando ed allargando con le mani si formava il classico velo.
In totale avrò lavorato l’impasto per circa 10 minuti con farina, madre, zucchero, albumi e tuorli, poi ho diviso il burro in 5 parti e ad ogni aggiunta ho impastato 5 minuti e poi alla fine ho fatto andare altri 10 minuti, ma dipende molto dal tipo di impastatrice, così come la sequenza dell’introduzione degli ingredienti che con la Miss Baker è l’opposto rispetto a quella in una planetaria. Per l’impasto con planetaria vi conviene leggere nello specifico il post della Terry o della Sandra. Ho poi messo l’impasto in una ciotola, ho messo la ciotola dentro un sacchetto di plastica per alimenti ed ho cacciato tutto dentro il forno con la lucina accesa ed ho fatto riposare fino al mattino. Ho però preparato sia la glassa che la crema all’arancia e li ho conservati in frigo in modo da far fondere bene tutti i sapori.

Alle 8 del giorno dopo, l’impasto nella ciotola traboccava letteralmente e così, ferma nel mio proposito, mi sono cimentata nel secondo impasto. Ho messo nella Miss Baker tutto il primo impasto, la farina e lo zucchero, ho impastato per circa 10 minuti quindi ho aggiunto il composto che ho ottenuto mescolando il burro, i semi di vaniglia, l’estratto naturale di vaniglia che in casa mia non manca mai, il sale e la crema di arancia. Ho impastato un’altra decina di minuti prestando attenzione perché è ASSOLUTAMENTE VIETATO PERDERE L’INCORDATURA nel secondo impasto. Ho unito i tuorli uno per volta lavorando brevemente e poi alla fine, il burro con lo stesso procedimento del primo impasto: temperatura ambiente, quantità divisa in 5 parti e lavorazione di 5 minuti dopo ogni inserimento. Ecco il momento dei canditi ed ecco anche il primo intoppo. Ero convinta di avere la quantità giusta ed invece non so come non so dove ma una scatolina era sparita, così ho dovuto fare con soli 200 g di canditi ed oltretutto misti, arancia e cedro. La lecitina ed il latte in polvere invece nemmeno li ho presi in considerazione. Alla fine i soliti 10 minuti standard. Questa volta l’impasto è venuto un po’ più morbido del precedente ma poi ho proceduto con le pieghe tirando un lembo dell’impasto verso l’esterno e poi ripiegandolo su se stesso come un libro ed ecco la giusta consistenza..

Ora si procede con un riposo di un’oretta in forno dentro la ciotola e con la lucina accesa e quindi si può dare la forma alla colomba. Altro intoppo. Io avevo delle formine di carta a forma di colomba ma mi sono resa conto che erano troppo piccole per occupare l’impasto quindi la scelta è caduta sullo stampo piccolo di un panettone che aspettava, anche lui poverello, che prendessi il coraggio a due mani per impastarlo. In totale mi sono dunque venute due colombe piccole che non ho pesato ed un panettone da 6 etti circa. Ora però viene l’errore grosso, macroscopico, quello per cui pensavo di dover buttare via tutto ed invece, come da titolo, questa era proprio la colomba del perdono e oltre agli altri due errori, mi ha perdonato anche questo. Dunque, ho diviso l’impasto in tre, poi due di questi li ho ulteriormente divisi in 60% per i corpi e 40% per le ali ed un terzo l’ho usato per il panettoncino. Ho allungato l’impasto, formato i corpi, la parte più corta l’ho usata per le ali e poi ho versato la glassa e, come da istruzioni, ho messo a lievitare. “Sandra, pennuti messi in forno con la lucina accesa e la glassa. Ho dimenticato lo zucchero a velo. Lo metterò prima di infornare”.
“Gaia……… la glassa la dovevi mettere una volta lievitati…………. prima di infornare…. ce la faranno a lievitare adesso?””Non la farò MAI PIU’. Lo sapevo che mi sarei distratta in qualche modo. Sono una frana. Altro che deficit dell’attenzione” e Sandra “ma magari ci vuole un po’ di più e lievita uguale”

E così è stato. La colomba del perdono ha perdonato anche questa grande disattenzione e pian pianino si è incominciata a muovere. Alle 18 gli impasti erano pronti da infornare. La glassa era miseramente scivolata sotto alle colombe facendo uno strato che si vede bene in foto ma le ho cotte comunque ed erano buone, tanto buone. Il sapore di una colomba industriale non si avvicina nemmeno lontanamente al sapore della colomba fatta in casa e questo è abbastanza ovvio, ma la cosa più straordinaria di tutto è stato il profumo, un profumo che ha fatto di casa mia un laboratorio di pasticceria. E a questo punto chi mi ferma più?
Panettoni e pandori tremate…..
Grazie a Sandra e a Terry senza le quali, tutto questo, non sarebbe potuto succedere.

Ingredienti per 3 colombe piccole:
Primo impasto: Io l’ho preparato alle 20
320 g di farina W450 (io manitoba)
100 g di zucchero
160 g di albumi
150 g di madre rinfrescata almeno 3 volte
160 g di burro morbido di quello buono (io ho usato Lurpack)
80 g di tuorli (4/5 uova, nel mio caso 5)
8 g di malto (io non l’ho messo)
Impastare con il metodo adeguato alla propria impastatrice e far lievitare nel forno dentro ad una ciotola infilata dentro un sacchetto di plastica per alimenti con la lucina accesa fino al mattino.
Parallelamente preparate la glassa con:
120 g di mandorle in polvere
30 g di fecola di patate
110 g di albume
poche gocce di essenza di mandorle
e la crema all’arancia che otterrete grattando la scorza di arancia e mescolandola con zucchero e miele e mettetele ambedue in frigo fino all’indomani mattina.
Secondo impasto: Io l’ho preparato alle 8
tutto il primo impasto
80 g di farina W450 (io manitoba)
80 g di zucchero
4 g di sale
80 g di tuorli (io 5)
40 g di miele
una bacca di vaniglia
Poco estratto di vaniglia, un cucchiaio circa
120 g di burro morbido
4 g di lecitina di soia (io non l’ho messa)
360 g di cubetti di arancia candita (io ne ho messi solo 200 ed i 160 g che mancavano si sono fatti sentire tutti)
60 g di crema d’arancia
8 g di latte in polvere (io non l’ho messo)
Impastate, fate le pieghe, fate riposare l’impasto per un’ora circa dentro al forno con la lucina accesa
Dtre la forma alle colombe e mi raccomando, niente glassa.
Ulteriore riposo, questa volta per 8 ore circa, ma questo potrebbe dipendere dal mio errore della glassa. Voi guardate perché l’impasto dovrà raggiungere un cm dal bordo e la pancia sarà più o meno a livello del bordo e poi e solo allora, versate la glassa dopo averla tenuta a temperatura ambiente per 10 minuti. Non considerate i bordi, tanto la glassa in cottura scenderà (non fate come me)
Sopra,  per decorare, mettete mandorle intere con la buccia, granella di zucchero e zucchero a velo. 
Rimettete le colombe in forno freddo e portate la temperatura a 165°. Per le colombe grandi le mie maestre indicano 50 minuti, per quelle da 750 45 e per quelle da mezzo chilo 40 ma nel mio caso, col mio forno, 30 minuti sono stati sufficienti, anzi, sarebbe stato meglio se le avessi cotte anche qualche minuto in meno. Ho anche dovuto abbassare la temperatura a 150° dopo i primi venti minuti perché colorivano troppo. Io i due pennuti ed il panettoncino li ho cotti tutti insieme. La Terry, se non ricordo male, dice di cuocerli uno per volta ma io ero stanca, il bimbo voleva andare a letto ed ho abbreviato.
A fine cottura prendete degli aghi da lana oppure degli spiedini lunghi e delle scatole sulle quali appendere i pennuti. Appena escono dal forno, si infilzano gli aghi nella base del piroettino di carta e si appendono i pennuti a glassa in giù e così si lasciano fino al mattino.
A questo punto incartate e mettete da parte. La prima sono riuscita a tenerla lontana dai maschietti per tre giorni, la seconda l’abbiamo mangiata dopo 7 giorni complice il viaggio in Francia ed il Panettoncino ancora devo aprirlo. Posso dire che la colomba mangiata dopo 7 giorni era effettivamente migliore della prima ma soprattutto, e qui forse i puristi mi linceranno, ripassare la fetta nel microonde opera magie che non avrei creduto possibili, portando la colomba ad un grado di sofficità estremo. Assolutamente da ripetere!

Con questa colomba partecipo a Panissimo, la raccolta di lievitati ideata da Sandra e Barbara e da quest’ultima ospitato questo mese.
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Anche questa una ricetta a dimostrazione del fatto che mangiare con poco si può. Basta solo un poco di fantasia. Io con lei, la mia socia in questo contest, abbiamo stabilito, per questa volta, di usare la stessa sfoglia, sempre col vincolo dei 5 eurini ovviamente e dopo consultazione veloce, ci siamo decise per questo tipo di sfoglia, molto particolare, che racchiude in se il profumo intensissimo dei porcini secchi. Nel ripieno abbiamo optato per le patate, ingrediente economico ma molto versatile e poi ognuna l’ha impreziosito con variazioni personali. Il risultato? Due primi stratosferici, di quelli che più ne mangi e più ne mangeresti, tant’è vero che delle ventotto margheritone perché di margheritone si tratta, ieri sera non ce n’erano già più e noi in famiglia siamo tre! 
Ingredienti per 4 persone affamate:

Per la sfoglia:
100 g di farina 0
100 g di farina di semola rimacinata
Un uovo
10 g di funghi secchi
Acqua quanto basta

Per il ripieno:
500 g di patate
2 porcini piccoli congelati
aglio
prezzemolo
grana grattugiato 
sale e pepe
Per il condimento:
Burro salato
poca panna fresca
grana
salvia 
pepe

Per prima cosa ho frullato le farine con i funghi secchi e poi ho aggiunto l’uovo e l’acqua necessaria ed ho impastato fino a che l’impasto non è risultato liscio. L’ho poi fatto riposare coperto con una scodella per mezz’ora. Nel frattempo ho sbucciato le patate e le ho cotte a vapore nel microonde. Ho fatto trifolare i porcini tagliati a pezzettini e l’aglio ed prezzemolo tritati in poco olio, ho aggiustato di sale ed ho unito il tutto alle patate passate al setaccio. Ho aggiunto un poco di grana grattugiato, sale e pepe ed ho messo a riposare in modo che il purè si profumasse ben bene. Ho tirato la pasta fino alla tacca 6 passandola due volte per ogni tacca e poi ho disposto dei mucchietti belli cicciottelli di ripieno a distanza uno dall’altro, ho coperto con un’altra striscia di pasta facendo ben attenzione che non rimanesse l’aria e poi ho tagliato con una formina a margherita premendo poi bene sui petali per assicurarmi che non si aprissero in cottura.
Mentre le margherite cuocevano in acqua bollente salata con un goccio d’olio, ho messo in una padella del burro e le foglie di salvia, ho poi allungato leggermente con poca acqua di cottura ed altrettanto poca panna ed ho fatto addensare un poco. Vi ho rovesciato con delicatezza le margherite, le ho fatte saltare con altrettanta delicatezza e poi le ho impiattate terminando con grana grattugiato e pepe macinato fresco.

Una squisitezza, veramente!
Vi ricordo che avete tempo fino al 6 di Maggio per inviarci le vostre ricette di pasta fresca a dimostrazione che con 5 €. la crisi, almeno a tavola, la possiamo esorcizzare.
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Questa ricetta non è mia ma di Clelia Dessi’ che non avendo un blog ma una pagina Facebook, Clelia in cucina,  mi ha scritto via mail e io giro la ricetta a voi. Tra l’altro è una bellissima ricetta e di tradizione oltretutto!
Ingredienti per la pasta: (4 persone)
400 g di farina di semola di grano duro
acqua calda quanto basta ad impastare

Per il pesto rosso:
4 pomodori maturi
80 g di pomodori secchi
50 g di mandorle
Un cucchiaio di provolone grattugiato
6 foglie di basilico
mezzo bicchiere di olio evo
sale e pepe quanto basta
Ricotta dura quanto basta per spolverare alla fine
Preparazione:
Impastate la farina con l’acqua tiepida, tanta quanto basta ad ottenere un impasto consistente. Si ammorbidirà molto durante il riposo.
Lavoratelo molto bene finché non sarà liscio ed elastico.
Dopo il riposo prendete dei piccoli pezzi di impasto e formate dei cordoncini sottili come il dito mignolo.
Infarinateli bene. Se non possedete la macchina, per confezionarli fate passare a piccoli pezzi la pasta sul dorso di una grattugia o sui rebbi di una forchetta. Premete e date la caratteristica forma. Proseguite fino a che la pasta non sia finita tutta. Lasciateli asciugare un’ora.
Tostate le mandorle prive della pellicina in una padella antiaderente. Tuffate per pochi secondi i pomodori in acqua bollente, scolateli e privateli della pelle e dei semi e raccogliete la polpa nel frullatore. Aggiungete le mandorle, i pomodori secchi, il basilico, il provolone, il sale ed il pepe e frullate fino ad ottenere una salsa granulosa. In ultimo unite l’olio, mescolatelo molto bene in modo da emulsionarlo nel composto.
Cuocete gli gnocchetti e conditeli col pesto ed abbondante ricotta dura grattugiata
Con questa ricetta Clelia partecipa al contest Pasta che ti passa.. impastiamo la crisi!, contest a 4 mani, le mie e quelle della Sandra

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Io e la Sandra continuiamo ad inventarci ricette per il nostro contest Pasta che ti passa… Impastiamo la crisi. Ormai è diventato una specie di esperimento creativo, un brain storming di paste di ogni tipo, colore e foggia. Il bello è che noi italiani, abituati da sempre a tutta questa varietà, nemmeno la apprezziamo proprio per la sua ovvietà, ma basta cambiare nazione per vedere come proprio questa varietà sia in realtà un tesoro comune a tutti gli italiani. Ad ogni regione, ad ogni provincia, corrisponde un tipo diverso di pasta, fatta con farine diverse, metodi diversi, con o senza uova, tirata fine o tirata spessa, ripiena di poco se la zona è una zona a retaggio contadino oppure ripiena di ogni ben di Dio se la zona è sempre stata una di quelle dove si poteva spendere, corta, lunga, fatta col ferretto o con la chitarra, in pratica una serie infinita di variazioni. Ma non solo la pasta!
“Che dici Sandra? Gli gnocchi valgono? Si possono mettere nel contest?”
“Come no, certo che si possono mettere, c’è la farina dentro no?”
E così ecco che oggi a casa mia abbiamo mangiato gli gnocchi. Gnocchi che invece di essere impastati e ridotti a rotolino e poi tagliati, vanno messi nell’acqua bollente quando sono sotto forma di crema quindi aiutandosi con una sac a poche oppure dosandoli con due cucchiai. Gnocchi che come consistenza ricordano gli spatzles solo che invece di essere piccolini e seccolini sono grossi, gnocchi nei quali si possono affondare bene i denti, gnocchi che saziano, pieni di greens come dicono gli anglosassoni e quindi nemmeno troppo calorici. A dimostrazione che anche negli gnocchi gli italiani hanno messo la fantasia, l’ingegno e una buona dose di golosità. 
Un primo piatto economico anche perché, per quel che mi riguarda, non mi fa desiderare un companatico ma piuttosto di servirmene una seconda volta e chiudere con una mela. 
Vi serviranno:
Per gli gnocchi
100 g di spinaci
100 g di bietole
110 g di farina
100 g di latte
2 uova
25 g di burro
20 g di grana grattugiato
Noce moscata
Sale e pepe
Per il sugo
300 g di passata di pomodoro
Uno spicchio d’aglio
50 g di Philadelphia
Olio
Sale e pepe
Prima di tutto lavate bene gli spinaci e le bietole e poi fatele stufare velocemente in una padella antiaderente. Basteranno 5 minuti.
Strizzateli bene (attente a non bruciarvi le mani) e poi tritate col coltello. Nel frattempo avrete fatto bollire il latte con il burro. Travasatelo in un mixer oppure in una ciotola larga e versatevi tutta insieme la farina. Mescolate bene, poi aggiungete il grana grattugiato, gli spinaci e le bietole, la noce moscata, il sale e il pepe. Incorporate le uova una alla volta. Il composto deve risultare abbastanza cremoso ma dovrà essere possibile farlo cadere dalla sac a poche direttamente nell’acqua bollente tagliando con un coltello oppure prelevandolo con un cucchiaino quindi se vi rendete conto che la farina non dovesse essere sufficiente, aumentatela tranquillamente anche di 40/50 g. Dipende, come sempre, dalla farina che userete. 
Cuocete in acqua bollente salata ma non scolate subito gli gnocchi quando vengono a galla. Calcolate circa 5 minuti di cottura.
Ho condito questi gnocchi con un semplice sughino ottenuto facendo soffriggere un trito di aglio in poco olio, aggiungendo della passata di pomodoro, sale e pepe e poi facendoci sciogliere una noce di philadelphia che col suo gusto lievemente acidino  contrasta magnificamente col dolce del pomodoro. Un poco di sale, una macinata di pepe fresco e via, di corsa a tavola! 
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