Granola home made

by burroemalla
Sempre della serie Snack box, un’altra ricetta copycat di un celebre cereale che, come le barrette della scorsa ricetta e nonostante le varie assicurazioni pubblicitarie, è pieno zeppo di quegli  ingredienti di cui non abbiamo bisogno ma che purtroppo ormai si trovano dovunque quali aromi, antiossidanti e tanti tanti zuccheri. Questa granola è eccezionalmente buona, tanto buona che ormai ho preso l’abitudine, ahimè, di prenderne una manciata nei momenti di calo di zuccheri (con la scusa ne mangio praticamente ogni 10 minuti). La dose della ricetta, che ho visto qui è in cups americane ed io ho un po’ arrotondato ma comunque è una dose mooooooolto abbondante, due teglie grandi ed ho subito pensato che come sempre avevo esagerato. Così ne ho regalata una teglia a mia madre e me ne sono subito amaramente pentita perché in una settimana era finita, ma del resto, a parte il tempo di cottura, la preparazione è semplice e veloce e quindi prepararla di nuovo non è certo un problema. Ho anche modificato un pochino la ricetta ma del resto questa è una cosa che potrà fare ognuna di voi in base ai propri gusti. La particolarità della granola sta nell’agglomerarsi dei cereali grazie alla viscosità di un qualche tipo di liquido appiccicoso tipo lo sciroppo d’acero o di agave oppure il miele, quindi se si amano i cereali molto agglomerati basterà aumentare un po’ la dose di sciroppo.
L’olio di cocco non l’avevo mai provato ed è stato una piacevole scoperta. E’ leggero e straordinariamente profumato ma mi raccomando, usate solo olio di cocco bio che è una garanzia sulla sua qualità e provenienza.
Una volta preparata, ho conservato la granola in barattoli di vetro che poi ho messo in frigo. Onestamente non ricordo dove ho letto che la granola si conserva meglio in frigo, visto che Michelle, la Browneyedbaker, suggerisce di conservarla fino a due settimane a temperatura ambiente, ma a questo punto tutti e due i metodi sono stati testati e funzionano, quindi conservatela come preferite, tanto non dura abbastanza perché la conservazione diventi un problema.

 

 

Vi serviranno:

170 g di sciroppo d’acero
110 g di zucchero di canna integrale
3 cucchiaini di estratto di vaniglia fatto in casa oppure una bustina di vanillina
mezzo cucchiaino di sale marino
110 g di olio di cocco bio
450 g di fiocchi d’avena bio (io li ho comprati alla Conad)
130 g di anacardi
120 g di mandorle o nocciole
150 g di uvetta
150 g di mix di mirtilli e ribes oppure albicocche secche o fichi
Preriscaldate il forno a 150. Foderate una teglia di carta forno e mettete da parte.
In una ciotola molto capiente mescolate lo sciroppo di acero con lo zucchero di canna, l’estratto di vaniglia ed il sale. Unitevi l’olio di cocco leggermente passato nel forno a microonde per scioglierlo dal momento che si presenta denso, i fiocchi di avena e gli anacardi/mandorle che avrete tritato in modo grossolano. Mescolate il tutto con le mani (come sempre, che il risultato è migliore) fino a che gli ingredienti non saranno rivestiti dalla mistura di sciroppo.
Rovesciate il tutto sulla teglia ed appiattite fino ad avere uno strato sottile. Pressate bene con le mani per rendere la granola più compatta e poi infornate fino a quando la superficie non sarà dorata.
Nella ricetta si parla di una temperatura di 160° e rotti per 40,45 minuti girando la teglia a metà cottura, ma per quel che riguarda il mio forno, mezz’ora è bastata e anche i 160° sono troppi, infatti la prima infornata mi è venuta troppo colorita.  Per la seconda ho abbassato la temperatura a 150°, ho cotto per soli 30 minuti e la granola è uscita perfetta, colorata e croccante al punto giusto.
Fate freddare in forno con lo sportello aperto, poi rompetela in pezzetti delle dimensioni che preferite trovarvi sotto ai denti ed unitevi le uvette ed i mirtilli/ribes.
Con due teglie ho riempito due vasi grandi della Bormioli anche se, ad essere onesti, prima ancora di metterla nei barattoli ne ho mangiata un bel po’ a cucchiaiate.
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Uno dei ricordi più belli del mio viaggio di nozze è stato (certo che non mi smentisco mai io eh?) lo street food indiano, il cibo che si mangia in India sulle bancherelle, per strada. A parte qualche caso sporadico, non ho sofferto effetti collaterali e quindi perché privarsi di quella meraviglia?
Lo street food indiano è straordinario, vario, saporito, economico e per la maggior parte vegetariano. Polpette di purè di patate insaporito con aglio, coriandolo e peperoncino e poi fritte in una pastella di farina di ceci, samosa, onion bhaji (frittelle di cipolle), mille tipi di dosa (crepes di riso e lenticchie ripiene di verdure), brathura, schiacciatine di semola e yoghurt che si gonfiano come palloncini e si servono con dhal di legumi, paneer pakora (cubetti di formaggio fritto in pastella di ceci) e i khara che sono dei panini preparati con un impasto lievitato arricchito da patate e ripieno di cipolle o altre verdure speziate. I khara restano i miei preferiti e quindi, quando mi sono trovata tra le mani (o per essere più precisi a portata di click) questa ricettina qui mi sono messa subito all’opera.
I khara sono semplici da preparare, nonostante il parere dell’autrice (che però specifica che ha qualche problema con i lievitati in generale) ed il risultato è molto simile ai khara che mangiavo a Mumbai. Ringrazio quindi Shilpa per la ricetta.

 

Vi serviranno

Per l’impasto:
Una patata media
220 g di acqua di cottura della patata
7 g di sale
10 g di lievito di birra fresco
270 g di farina da panificazione
Una punta di cucchiaio di burro
30 g di farina integrale
Per il ripieno:
Due cipolle medie
3 peperoncini verdi
1/2 cucchiaino di garam masala *
Prezzemolo tritato
Un pizzico di curcuma
Olio e sale
*Per il garam masala:
Un cucchiaio di semi di cardamomo
Un cucchiaino di grani di pepe nero
Un cucchiaino di semi di cumino neri
Un cucchiaino di chiodi di garofano interi
1/3 di una noce moscata

 

5 cm. di stecca di cannella rotta in due o tre parti
Sbucciate e lessate la patata in 250 g di acqua, scolatela ma conservate l’acqua. Passate o schiacciate bene la patata cotta e pesate l’acqua di cottura. Se è più di 220 g buttate quella di avanzo altrimenti aggiungete acqua del rubinetto.
Mettete l’acqua in una ciotola capiente ed aspettate che la temperatura si abbassi fino a raggiungere temperatura ambiente quindi scioglietevi il lievito, aggiungete le farine, il burro ed il sale e mescolate bene. Rovesciate sulla spianatoia infarinata e lavorate per una decina di minuti finché l’impasto non sarà ben elastico e non appiccicoso. Fate quindi lievitare coperto per il tempo che ci vorrà per ottenere il raddoppio, all’incirca un’oretta.
Intanto riscaldate poco olio ed aggiungetevi i peperoncini tritati, le cipolle tagliate sottili, un pizzico di curcuma per il colore, il sale e poca acqua e fate stufare con il coperchio. Dopo una decina di minuti unite il garam masala ed il prezzemolo e cuocete ancora fino a che il composto  sarà asciutto. Far raffreddare.
Riprendete l’impasto e dividetelo in otto parti. Formate delle palline quindi appiattitele, mettete al centro una cucchiaiata di cipolle e richiudete bene le palline sigillandole nella parte bassa. Arrotondatele di nuovo, mettetele su di una teglia foderata di carta forno, ungetele di olio e fate lievitare ancora per un’ora.
Cuocete in forno preriscaldato a 200 per 10,12 minuti.

 

Con questa ricetta partecipo a Panissimo, la raccolta mensile di pani ideata dalle due grandi Sandra e Barbara ospitata questo mese dalla dolce Sandra
ma anche alla raccolta di Ricette Pasticcione ospitato dagli Apprendisti pasticcioni 

 

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Barrette fai da te

by burroemalla

 

 

Cado nel retorico e lo so bene affermando che avere un figlio è un’esperienza che ti cambia la vita. Ti cambia i ritmi, ti cambia i valori, ti cambia fisicamente, sfuma l’importanza della maggior parte delle cose che prima erano importanti e amplifica invece tutte quelle piccole, i gesti, i suoni, i respiri. Improvvisamente non ci sei più tu, al centro del mondo, con le tue esigenze e le tue voglie. Basta con la straordinaria libertà mentale che ti trasmetteva un viaggio dove avevi prenotato solo il volo e quando arrivavi ti guardavi un po’ intorno ed andavi dove ti portava l’istinto. Sul web  passi improvvisamente dal cercare “splendida natura incontaminata ancora sconosciuta al turista medio, difficile da raggiungere, servizi minimi, niente elettricità” a “spiaggia a 100 mt. attrezzata con piccolo parco giochi e spettacoli pomeridiani con animazione curata dal famoso mago Pallonio con distribuzione bomboloni caldi all’ora della merendina”.
Un’altra cosa però cambia, insieme a tutte queste, che non è meno spiazzante delle altre: l’alimentazione della famiglia. Io sono una che non ha mai badato eccessivamente a quello che si infilava in bocca. Al di là del fatto che non mangio carne da quando ero una quattordicenne, ho passato anni (soprattutto quelli vissuti a Londra) saltando la colazione, mangiando quello che trovavo nel frigo solo quando mi ricordavo e senza nemmeno riscaldarlo, bevendo un litro d’acqua alla settimana e buttando giù nel momento della fame qualche barretta di cioccolato Cadbury presa dai distributori automatici in metropolitana.
La nascita di mio figlio mi ha profondamente cambiata, sensibilizzandomi su tutto quello che riguarda l’alimentazione e quindi ho incominciato ad informarmi, a leggere e quando si è scoperto, da subito, che mio figlio era un soggetto allergico, mi sono data ancora più da fare, avvicinandomi al biologico e alla filiera corta. Ho cercato di preparare da sola tutto quello che potevo, infatti mio figlio non ha mai assaggiato un omogeneizzato industriale. I succhi, le merendine, la focaccia, i biscotti, ho sempre cercato nel possibile di prepararglieli io, facilitata dal fatto  che lavoro a casa, col computer e per questo mi considero molto fortunata. Crescendo poi mio figlio ha attraversato la fase che io chiamo “desiderio di spalmarsi” nella quale mi chiedeva perché non poteva portare a scuola anche lui, come tutti gli altri, una “colazione normale”, una Fiesta magari o almeno un Flauto, ma quando li ha assaggiati c’è stato un rapido dietrofront e è tornato a mangiare i suoi muffin e le sue focacce ben contento. 

 

 

 

Ora sta attraversando un periodo nel quale, per esigenze di tempo e anche perché prima di andare in piscina non può mangiare cose troppo pesanti, mi ruba le barrette della Kellogs che io mangio non certo perché mi piacciono. Come sempre, se so che una cosa la deve mangiare lui, la vedo con occhio diverso, col cosiddetto occhio clinico della mamma, e mi sono improvvisamente resa conto di quanto queste barrette siano di plastica, come imbalsamate.. Mi sono messa allora a spulciare in rete ed ho scoperto, soprattutto su siti americani, una quantità incredibile di ricette di barrette di ogni tipo e così oggi ho deciso di sperimentarne una.  Beh, al di la del fatto che quelle in vendita vengono pubblicizzate come sane e piene di ingredienti naturali, se vi andate a spulciare gli ingredienti vedrete che sono piene zeppe di zuccheri oltre che aromi, olii vegetali, acidi, antiossidanti ed altre schifezze varie. Queste home made invece sono un concentrato di alimenti super energetici: frutta secca, semi di lino e di girasole, fichi, sciroppo di agave al posto dello zucchero raffinato e rappresentano quindi un’ottima alternativa allo snack con il vantaggio di mangiare qualcosa che oltre ad avere un sapore eccezionale, dà grande energia e fa anche bene. E soprattutto potete personalizzarle a piacere, aggiungendo gocce di cioccolato, noccioline, albicocche disidratate, la scelta è praticamente infinita.
Mi pare che le motivazioni per mettervi subito a prepararle siano sufficienti, o no? 
 
p.s. Ora che ho assaggiato queste, le barrette Kellogs non le mangio più neanche io!
Peccato che oltre al sapore queste barrette non abbiano nemmeno le stesse calorie, di quelle Kellogs. Beh.. non si può certo avere tutto, nella vita! 

 

 

Ingredienti:
150 g di anacardi
150 g di mandorle
2 cucchiai farina di cocco (ho frullato il cocco grattugiato)
150 semi misti (io ho messo semi di sesamo, zucca, lino e girasole)
6 fichi secchi (la ricetta prevedeva i datteri)
Mezzo cucchiaino di sale marino
170 g sciroppo di agave
50 g di gocce di cioccolato (io non le avevo e non le ho messe)
150 g di mix di mirtilli e lamponi disidratati
                                                                                                                                                  Procedimento:
Preriscaldate il forno a 160°
In un frullatore macinate gli anacardi, le mandorle, ed i semi. Aggiungete i fichi e mescolate ad intermittenza per lasciare i fichi un po grossini.
Mettete il composto in una ciotola dove aggiungerete anche gli altri ingredienti.
Mescolate bene con le mani perché è molto più divertente leccarsi le mani che leccare un mestolo di legno quindi stendete l’impasto in uno strato di circa due cm. di altezza su di una teglia foderata di carta forno e cuocete per 20 minuti.
Tagliate a forma di barretta e conservate in una scatola di latta.
 
 
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Mini pastierine di riso

by burroemalla

Ny batteri Sigur Ros

Tante sono le cose che mi afferrano come un gancio e mi trascinano in un nano secondo indietro, fino alla mia infanzia. Una, la più strana, sono le pietre rosse. Non so quale sia il motivo, ho cercato anche di scoprire se esistesse una qualche malattia associata ai colori perché quello che mi prende è una specie di stordimento, quasi un malessere fisico, come se la pietra mi risucchiasse e mi riportasse indietro, a quando mia nonna, da bambina, mi permetteva di giocare con la sua “scatola dei gioielli” che altro non erano che oggetti come quelli che ora si trovano nei mercatini di antiquariato, soprattutto spille tempestate di pietre colorate e mi succedeva la stessa cosa, provavo le stesse sensazioni. E cosa ancor più strana mi succede anche quando leggo su un libro una descrizione particolarmente riuscita di una pietra rossa.
Un altro è il profumo dei libri che ho sempre associato all’infanzia perché mi riporta  alla prima volta che mia madre mi portò in una biblioteca. Ricordo come se fosse ora quella mattina, durante le nostre vacanze estive in montagna, quando partimmo per andare in un paese vicino dove c’era una biblioteca. Andare in biblioteca non era una cosa così scontata per me perché nel mio paese ai tempi ancora non c’era. Comunque entrammo e mi ricordo la sensazione di pace, di calma e poi, subito dopo, quel profumo particolare ed unico, di carta stampata ma anche un pochino, come nascosto, di polvere, di cose vecchie. Un odore estremamente confortante, che fa venire voglia di sedersi in un angolino e perdersi e dimenticare tutto con un libro tra le mani. Infine la meraviglia per quell’enorme quantità di libri e, cosa ancor più straordinaria, tutti a mia disposizione. Avrei potuto scegliere quelli che volevo e portarmeli a casa. Ora, per una bambina di 8 anni che si faceva fare le vaccinazioni senza piangere ne fare storie solo dopo la solenne promessa di passare dallo studio del pediatra direttamente all’edicola a comprare un librino (non c’era biblioteca nel mio paese ma neppure una libreria se è per questo), questo era un sogno divenuto realtà, come la promessa di un Babbo Natale tutte le settimane, o di un bignè tutte le mattine. Nonostante ormai la biblioteca ci sia anche nel mio paese e nonostante io vi abbia anche lavorato come volontaria, questo non mi impedisce di rivivere quel  momento magico ogni volta che ne varco la soglia.
Un’altra delle cose che mi riportano alla mia infanzia sono le pastine di riso. Le pastine di riso rappresentavano il momento speciale, la domenica (ma non tutte) oppure qualche festa particolare, quando invece della comune colazione che di solito era pane e marmellata, si mangiavano le pastine di riso al bar. Non succedeva molto spesso, altrimenti il ricordo non avrebbe assunto tutta questa importanza nella mia memoria, ma quando succedeva era bellissimo. Questa cosa, in un mondo come quello di oggi, dove tutto è sempre a disposizione, dove non c’è più nulla di così speciale da aspettarlo per settimane intere, dove non si fa nemmeno in tempo a desiderare qualcosa che già il desiderio è soddisfatto, per i bambini risulta una cosa difficile da capire ma quant’era dolce quella pastina, com’era quasi dolorosamente buono quel primo morso, e quanto seriamente mi impegnavo a farla durare più a lungo possibile, fallendo ogni volta miseramente. Oddio, in generale le cose che mi piacevano sapevo farmele durare a lungo. Gia odiavo la carne ed adoravo i legumi quindi, quando c’erano i fagioli, li dividevo tutti a metà per raddoppiare la porzione mentre nel panettone toglievo i canditi e me li mangiavo dopo, con calma, uno ad uno, ma con le pastine di riso non c’era proprio modo di farle durare di più, nonostante ci provassi.
Questa ricetta in realtà sarebbe,almeno in parte, la ricetta della Pastiera della celebre pasticceria Scaturchio di Napoli, però ho usato la mia ricetta abituale della pasta frolla, ho sostituito il grano con il riso ed ho ridotto le dimensioni anche se le pastine della mia infanzia erano ancora più piccole di queste mini pastierine. 
Definiamolo un omaggio toscano alla celebre Pastiera e che gli amici napoletani non me ne vogliano! 

Ingredienti

Per la frolla:
250 g di farina; 
100 g di zucchero;
2 tuorli
150 grammi di burro
scorze di limone grattugiato.
Per il ripieno:
250 g di ricotta mista (la ricetta prevede quella di pecora ma per me ha un sapore troppo forte)
250 g di zucchero (io ne ho messi 200)
250 g di riso già bollito (120 g da crudo circa) nel latte 
2 uova 
50 g di frutta candita
una stecca di vaniglia
Gocce di fior d’arancio a gusto vostro. Io assaggio. Attenzione a non metterne troppe perché se eccedete otterrete l’effetto che un mio caro amico di Casalmaggiore ha definito come l’effetto “Arbre Magic”
Riporto fedelmente da Scaturchio: Si fa in primo luogo la “fontanella di farina”.  Nella farina si mettono gli ingredienti che vi ho indicati. Si mischia e, mano a mano, la farina assorbirà il tutto. Attenzione! L’impasto va fatto con mano leggera! Non bisogna pestare l’impasto! 
Terminato l’impasto per la pastiera, si lascia  riposare il tutto per almeno 24 ore.
E così io ho fatto. Ho preparato secondo i suoi dettami la pasta frolla che poi ho lasciato a riposare in frigo per 24 ore riportandola a temperatura ambiente un’oretta prima di infornarla. Intanto ho preparato il ripieno. Ho fatto bollire il riso nel latte, ho scolato l’eccedenza e poi l’ho fatto freddare. Ho poi preso un recipiente capace dove ho sbattuto le uova, la ricotta passata col setaccio, lo zucchero, i canditi a pezzetti, il riso bollito ormai freddo, i semini di una stecca di vaniglia e l’aroma di fior d’arancio. Qua cito di nuovo alla lettera Scaturchio: “Il segreto sta anche nel ” fior d’arancio”. Noi usavamo un profumo molto  forte, che si chiama Neroli. Cinque gocce sono sufficienti.  Il Neroli è quasi oro: una bottiglia da un litro costa circa 2.000 euro”. 
Bellissimo, però io ho usato l’aroma Fior d’arancio del supermercato!
Ho preso la pasta frolla, l’ho stesa con il mattarello, ed ho foderato una tortiera da 24 con l’altezza di 6 cm che è proprio la classica teglia da pastiera facendo arrivare l’impasto fino ad una certa altezza che le permettesse di contenere il ripieno. Scaturchio consiglia una cottura di 200′ per un tempo che varia dall’ora all’ora e mezza ma il risultato migliore si avrà con una cottura più prolungata grazie alla quale “lo zucchero farà  diventare la pastiera quasi lucida e un po’ brillante”. 
Io non ho messo le striscioline di frolla che si trovano abitualmente sulla pastiera perché a me piace addentare il ripieno, troppo bello il contrasto tra croccante sotto e morbido sopra per metterle!
Con questa ricetta partecipo al contest I dolci del cuore di Dolci a gogo
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Questo pane nasce da una ricetta di Sara Papa che mi ha gentilmente passato un’amica che ha partecipato ad un suo corso. Il pane è eccellente, molto profumato e si può mangiare tranquillamente con il salato (ieri sera appena sfornato me ne sono pappata una fetta con sopra una sottiletta fusa) anche se la morte sua, per quel che mi riguarda, è spalmato di nutella, meglio se home made.
Sara Papa effettivamente non sbaglia un colpo. Ha una sensibilità straordinaria per tutto quel che riguarda il pane e spero, in un futuro prossimo, di avere l’occasione di seguire uno dei suoi corsi. Nel frattempo mi accontento di provare le sue ricette..
Ingredienti:
700 g di farina (io ho usato Petra 1)
300 g acqua
10 g di lievito di birra fresco
50 g di miele
50 g di zucchero di canna
30 g di caffè liofilizzato al ginseng
80 g di burro
10 g di sale
Esecuzione:
Per prima cosa ho fatto sciogliere la polvere di caffè e lo zucchero di canna in 100 grammi dell’acqua totale della ricetta ed ho aspettato che tornasse a temperatura ambiente. Poi vi ho fatto sciogliere il lievito di birra, il miele   ed ho mescolato brevemente ed infine ho aggiunto prima la farina e poi  l’acqua rimasta, poca per volta. Solo alla fine ho unito il burro ammorbidito un pezzettino per volta, aspettando che fosse ben incorporato prima di aggiungere il pezzetto seguente ed il sale.
Ho lavorato bene finché l’impasto non è diventato liscio ed elastico ed ho fatto lievitare all’interno del forno con la lucina accesa ma nonostante ieri non fosse particolarmente freddo, mi ci sono volute più di 6 ore.
Quando è raddoppiato di volume ho rovesciato sulla spianatoia infarinata, ho dato la forma di un rotolo e poi ho fatto lievitare nuovamente un’oretta.
Ho poi preso un trincetto (eh, lo so che i maestri della boulangerie avranno da obiettare ma io per il momento non ho altro a disposizione), ho cosparso di farina il rotolo ed ho praticato i tagli del saucisson meglio di un chirurgo (magari). Ho subito infornato in forno preriscaldato a 180°
ed ho fatto cuocere 50 minuti circa coprendo però con carta alluminio dopo la prima mezz’ora perché già si stava colorendo troppo (mi sa che l’alluvione qualche problemino al forno glielo ha causato).
Appena sfornato ho fatto subito quello che non andrebbe mai fatto finché il pane ancora canta (cioè si raffredda):
ho tagliato una bella fetta e ci ho messo una sottiletta sopra che si è subito fusa.
Troppo troppo buono e poi c’era un profumo in casa incredibile.
Provare per credere!
Certo che come coupe saucisson è un po’ scalcinato ma con il trincetto di meglio non sono proprio riuscita a fare
Con questa ricetta partecipo a Panissimo di Febbraio, raccolta ideata da Sandra e Barbara che questo mese è gentilmente ospitata da Sandra di Dolce forno ed ha come tema facoltativo i pani regionali.
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