La Sandra è la prima persona che ho conosciuto quando mi sono affacciata al mondo dei  food blog, è lei che ha reso possibile l’apertura del mio blog e mi ha dato consigli e suggerimenti come avrebbe fatto una sorella. Sono quindi legata a lei in modo speciale, sia per riconoscenza che per amicizia quindi quando mi ha chiesto  se mi andava di darle una mano in questo contest, Pasta che ti passa… Impastiamo la crisi! non me lo sono fatto ripetere due volte. Tra l’altro, proprio recentemente ho scoperto sul web un articolo che farà la gioia di tutti quei celiaci che ancora non lo sanno: è possibile trasformare in farina adatta per la pasta tutti quei legumi e non solo che nella loro forma originaria non sono impastabili a causa dell’assenza della gradina e della glutenina  che sono le proteine responsabili della formazione del glutine.

Questa trasformazione è resa possibile grazie alla denaturazione delle proteine della farina di questi alimenti che andrà semplicemente messa in forno a 90° per tre ore dopo di che si potrà impastare come una normale farina.
Dal momento che il tema di questo contest è proprio l’uso, nella pasta, della farina nel senso più ampio del termine, mi sono voluta cimentare in una ricetta che prevedesse proprio l’uso di una farina di questo tipo ed ho quindi scelto quella di ceci.
L’impasto viene comunque diverso da quello che si avrebbe con una 0 o con una semola ed anche la consistenza dei tortelloni è un poco diversa come del resto sarebbe stata diversa se avessi usato un’integrale, ma il risultato è stato ottimo e quindi ritengo questo sistema rappresenti un’alternativa valida alle farine gluten free e poi il sapore dei ceci  si è sposato davvero a meraviglia con la burrata e le ortiche. Anche il tradizionalista di casa (mio marito) ha gradito, tanto che ha preteso la seconda porzione.

Oltre a Sandra, l’altra mia compagne di avventura sarà Amanda, Mica Cotiche che ha tenuto a precisare che farà la giudichessa perchè sa mangiare e quindi ci coadiuverà con questa sua “particolare dote”.

ll contest in se per se è semplice:

pasta fresca

ripiena o anche no,
di qualsiasi formato,
di qualsiasi colore,
con le uova o senza.

e ora arrivano le complicazioni

NO alla farina tipo 00
consentita la 0 per “tagliare” le altre farine
(non più del 50% del peso totale delle altre farine usate)
costo finale, compreso il condimento:
non oltre i 5€
commensali: n.ro 4

per il resto fate voi: farina di segale,di semola, di canapa, di ceci, di mandorle, integrale, di farro, di grano antico, senza glutine, con il glutine, di frutta, di erbe, mischiate, inventate, cercate, stupite… insomma 
SPORCATEVI LE MANI insieme A NOI!

fate finta di essere la moglie/marito disoccupata/o di un/una cassaintegrato/a e preparate la cena per 4 persone con 5 €…. sono pochi? siamo fortunati a poterla pensare così, oggi come oggi ci sono tante famiglie in difficoltà che davvero devono arrangiarsi con 5 €… ma chi l’ha detto che con pochi soldi non si possa mangiare bene?

e NON si VINCE NIENTE,
davvero non si vince niente se non il fatto che tutte le ricette saranno pubblicate in un pdf e messo online per chiunque lo vorrà scaricare, e una coccarda di riconoscimento. 
qui si partecipa per il gusto di partecipare!

ricordatevi di linkare il mio blog (Burro e Malla ) e quello di Sandra (Sono io, Sandra) nel post della ricetta,
esponete il banner nella colonna apposita del vostro blog,
dite che partecipate al nostro contest,
ricordatevi di inserirle direttamente nella griglia clikkando sulla scritta In Linz (la rana blu), 
mettere il link della ricetta,
la vostra email (che rimarrà visibile sono a me e a Gaia) 

scegliete la foto che volete compaia come anteprima della vostra ricetta.

avete tempo da oggi fino al 6 maggio 2014 per mandare le vostre ricette
possono partecipare TUTTI, aventi o no un blog.
i NON POSSESSORI di blog potranno inviare la ricette per email 
o a me (gaiasera63@gmail.com) o a Sandra (fuffy1964@gmail.com) e noi faremo un post per voi e la inseriremo in griglia.
per chi invece ha il blog basterà inserire la ricetta nella griglia alla fine del post
ricordatevi di mettere il banner,
per favore,
e se vorrete diventare nostri followers 
in qualsiasi social non fermatevi: noi ne saremo estremamente felici!!!

Quindi, ora smettete di stare con le mani in mano, 
mettete in moto quei due o tre neuroni liberi 
e cominciate a pensare a come spendere questi 
famosi 5 eurini!!!
inserite le vostre ricette qua sotto per favore e
automaticamente le troverete anche nel post di Sandra…..


Inserite le vostre ricette per noi qua sotto…

An InLinkz Link-up

Per favore inserite le ricette nella seconda griglia:

la mia ricetta “TIPO” per il contest:
Tortelloni di farina di ceci con burrata e ortiche

vi serviranno:

250 g di farina di ceci  €. 0,45
100 g di ortica   €. 0
123 g di burrata €. 1,76
50 g di burro €. 0,42
50 g di grana €. 0,85
50 g di mascarpone €. 0,48                                                                                                     
                                          
Costo totale del piatto per 4 persone (5 tortelloni  a testa) : €. 3,96
non saremo così fiscali con voi,
non pretendiamo un conto così perfetto, 
tenete solo presente 
di tenere il conto intorno ai 5€ e quindi non ci proponete
aragoste, tartufi, caviale….

Esecuzione:


Per prima cosa al mattino ho pesato la farina di ceci, l’ho stesa bene su di una placca  foderata di carta forno e l’ho tenuta a 90° per tre ore. 
Ho poi impastato normalmente con acqua ed ho fatto riposare per mezz’ora. Nel frattempo ho raccolto le ortiche, le ho lavate bene e scottate usando solo l’acqua che avevano trattenuto dal lavaggio, quindi le ho strizzate bene e poi tagliate finemente con il coltello. In una ciotola ho mescolato il mascarpone con la burrata tritata anche questa col coltello (in questo caso non si può ovviamente stracciarla come da tradizione) e le ortiche ed ho salato e pepato.
A questo punto il riposo della pasta era terminato così l’ho tirata con la sfogliatrice passando due volte per ogni numero ed arrivando al 6 quindi bella sottile e poi ho ritagliato i quadrati ed ho riempito con il composto di burrata e chiuso a formare dei tortelloni molto grossi. Ho cotto i tortelloni in acqua salata, li ho impiattati, ho cosparso di burro che avevo fatto fondere a fuoco basso ed ho spolverizzato di sfoglie di grana  ed una macinatina di pepe.
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Il mio cammino verso le farine biologiche è stato lento. All’inizio l’unica cosa che avevo in mente era la lievitazione e quindi usavo molto lievito anche perché spesso le ricette principianti proof obbediscono alle regole dell’equazione minor esperienza = maggior quantitativo di lievito e quindi vi si trovano quantitativi di lievito assurdi. Una volta appurato che il pane riuscivo a farlo lievitare, ho incominciato a documentarmi ed ho scoperto che a minor quantitativo di lievito corrispondeva si una lievitazione più lunga ma anche una maggior digeribilità ed un sapore migliore e così ho iniziato gli esperimenti con dosi sempre minori di lievito e mi sono accorta che il pane di metteva di più ma comunque alla fine, ora più ora meno lievitava lo stesso ed era più buono. Il passo successivo è stata l’illuminazione che anche le farine probabilmente influivano sulla qualità del pane (un vero genio io) e questo è successo in concomitanza col mio essere diventata mamma e di conseguenza più attenta a quello che mettevo in tavola all’allora cucciolo d’uomo e così ho scoperto che le farine che usavo ai tempi, prevalentemente 00 e manitoba, non erano esattamente il meglio da usare, soprattutto l’eccessivamente raffinata Manitoba e così mi sono prima spostata su farine integrali ma comunque sempre del supermercato ed alla fine sono arrivata alle farine biologiche rendendomi conto che la differenza c’è e come e che si sente e come..

Queste farine del Molino Grassi sono state una piacevolissima sorpresa anche perché comunque venivo già da farine biologiche e quindi sono stata in grado di apprezzarle appieno. 

Le farine che ho avuto il piacere di provare sono state la Einkorn e la Multicereali. Quella che ho usato per questa ricetta è la Einkorn, una miscela di farina integrale di farro monococco
biologico e farina tipo 1 di grano tenero biologico. Il farro piccolo o
monococco fu tra i primi cereali coltivati dall’uomo, nelle zone più
orientali del Mediterraneo e possiede un alto
contenuto in carotenoidi che uniti alla ricchezza di sali minerali della
farina di tipo 1, garantiscono particolari aspetti nutrizionali e
antiossidanti. In una piccola percentuale ho tagliato con la Multicereali sempre del Molino Grassi, una miscela di farina di tipo 0 di grano tenero Manitoba biologico, farina di segale, orzo, riso ed avena tutti biologici.

Il risultato è un pane estremamente profumato che trae ancor maggiore profumo dall’uso del sidro che dà all’impasto un’impronta rustica particolarissima, impronta rafforzata dalle cipolle che si sentono ma non in modo predominante in modo da creare un delicatissimo ma riuscito equilibrio tra gli ingredienti. Un pane che mi ha ispirato una ricetta di Richard Bertinet ma che poi ho variato a modo mio in parte aggiungendo e in parte
 togliendo. Un pane sicuramente da ripetere perché ha avuto un gran successo sulla mia tavola. Io l’ho abbinato ad un semplice salmone affumicato con un velo di burro. Yum!

Per la biga:

200 g di farina di Einkorn della Molino Grassi
50 g. di farina Multicereali della Molino Grassi
Mezzo grammo di lievito di birra fresco
5 g di sale
175 g di acqua


La sera, verso le 21,  preparate la biga. Sciogliete il lievito in 2/3 dell’acqua richiesta all’interno di una ciotola quindi incominciate ad aggiungere le due farine setacciate ritoccando con l’acqua solo se necessario. Solo alla fine unirete il sale sciolto in poca acqua.
Con l’aiuto di un tarocco sollevate l’impasto e trasferitelo sul piano di lavoro spolverizzato leggermente di farina. Lavorate brevemente e quindi riportate l’impasto nella ciotola, sigillate con pellicola trasparente e mettete a riposare a temperatura ambiente fino al mattino.

Per l’impasto:

Biga 
10 g di lievito di birra fresco
Un kg di farina di Einkorn della Molino Grassi
Una cipolla grande
450 g di sidro inglese (al super di solito si trova lo Strongbow)
150 g di acqua
20 g di sale

Tagliate finemente la cipolla ed appassitela in poco olio fino a quando non sarà lucida e poi  fatela freddare. Prendete una ciotola capiente ed aggiungete gli ingredienti esattamente nell’ordine. Mescolate brevemente e poi trasferite l’impasto sulla spianatoia. Evitate di spolverizzarla di farina all’inizio ma piuttosto infilate le mani sotto l’impasto a mo’ di forchetta, tiratelo verso di voi e poi lasciatelo ricadere su se stesso con un movimento ad arco che servirà ad incorporare aria. Continuate così fino a quando l’impasto non si asciugherà staccandosi facilmente dal piano di lavoro. A questo punto potrete infarinare leggermente la spianatoia. Appoggiatevi l’impasto e formate una palla facendo pieghe verso l’interno. Infarinate una ciotola, mettetevi l’impasto, coprite con pellicola trasparente e mettete a lievitare dentro il forno con la lucina accesa.
Ci vorranno circa 70/90 minuti o comunque il tempo necessario affinché l’impasto raddoppi di volume.
A questo punto ho diviso l’impasto in tre parti. Due le ho usate per fare le stelle, formando delle palline che poi ho appiattito. Ho fatto tre tagli così:


incidendo bene fino ad arrivare alla superficie della spianatoia ma lasciando intatto il bordo esterno e poi ho rigirato le punte premendo da sotto e rivoltandole verso l’esterno fino a formare una stella.
Ho poi inzuppato la parte superiore in una ciotolina con dell’acqua e successivamente le ho passate in un’altra che conteneva semi di papavero. Prima di infornare le ho fatto riposare una mezz’ora. Nel frattempo ho preriscaldato il forno a 220° e quando è arrivato a temperatura ho nebulizzato il suo interno e poi ho infornato.  Dopo 10 minuti di cottura ho abbassato a 200 ed ho continuato la cottura per altri 15 minuti.
Per i pani invece, ho dato loro una forma ovale e dopo aver fatto riposare mezz’ora come per le stelle ho fatto i tagli con la mia nuova lametta francese ed ho subito infornato. Tutto il resto è stato fatto allo stesso modo delle stelle, solo che ho dopo gli iniziali 10 minuti a 220°, ho proseguito la cottura a 200° per 30 minuti.
In entrambi i casi raffreddate il pane su di una griglia.

Sono molto contenta di queste farine. Il sapore del pane era veramente eccezionale e voglio ringraziare Valentina e il Molino Grassi che mi hanno dato l’opportunità di provarlo con il contest:

Le mie stelle andranno però anche a far compagnia a qualche altro pane su Panissimo, la raccolta mensile di pani e lievitati ospitata questo mese da una delle sue due mamme: Barbara che insieme a Sandra ha ideato la raccolta.

E anche da Zapach Chleba in Polonia!

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Chelo rice

by burroemalla

 

Chim Chim Cher-ee da Mary Poppins

 Del mio periodo vissuto a Londra ricordo ancora la sensazione profonda e bellissima di sentirmi finalmente parte del mondo. In quest’immenso crogiolo di razze, pensavo, c’è un posto per tutti, quindi anche per me.
Giravo per le strade con gli auricolari che come colonna sonora avrebbero associato per sempre nei miei pensieri Londra agli Smith e sentivo, sentivo con ogni cellula del mio corpo, di essere nel posto giusto, come il pezzo del puzzle che finalmente trova la sua collocazione esatta.
Quella sensazione, da allora, non l’ho mai più provata.
A volte mi sento moderatamente in chiave ma la sensazione di appartenenza, quella è svanita per sempre.
Anche alcune persone rimpiango, di quei tempi. La prima perdita, la più dolorosa, è quella di Akiko, la mia sorella amica giapponese. Abbiamo diviso tanto io e lei, finchè non ci siamo perse quando in contemporanea abbiamo cambiato appartamento, lei a Tokyo ed io a Londra. Ognuna di noi ha spedito all’altra il nuovo indirizzo e nessuna delle due l’ha ricevuto e da allora, da 25 anni,  io la cerco, scontrandomi contro la privacy giapponese e la burocrazia. Non aiuta il fatto che il suo nome sia usato sia per maschi che per femmine e nemmeno il fatto che lei che studiava psicologia a Tokyo, avesse lo stesso nome del più importante psicologo giapponese. Mi viene spesso da pensare che tutto questo, al giorno d’oggi, con i cellulari ed internet, non sarebbe mai successo. Io comunque continuo nella mia ricerca e so che, prima o poi, ci rincontreremo.
 L’altra mia grande amica era Mahvash, ma nel suo caso la sorte è stata più benevola perché dopo averla perduta dopo il suo trasferimento a Chicago, l’ho ritrovata su Facebook e così ho avuto la possibilità di contattarla. Mahvash è stata la prima persona che ho conosciuto nella mia classe a Londra. Era persiana, scappata dall’Iran con documenti falsi durante il regime di Khomeini grazie al fatto che aveva sposato un iraniano con passaporto americano, nipote dello Scià. La seconda volta che sono tornata a Londra, definitivamente, dopo un periodo di 6 mesi di scuola, sono stata sua ospite per 6 mesi circa. Lei era spesso sola perché il marito faceva la spola per misteriosi affari politici tra Londra e Washington e quindi le facevo compagnia durante la giornata. Non usciva da sola, nonostante il marito fosse molto moderno per essere un arabo e quando dovevamo andare al supermercato ci portava la guardia del corpo. Passavamo quindi molto tempo in casa ma nonostante questo, ricordo quel periodo come un periodo bellissimo. Cucinavamo, io i piatti italiani e lei i persiani, mi ha insegnato una marea di parolacce in persiano che ancora ricordo, mi leggeva il futuro nei fondi del caffe turco, ha anche provato ad insegnarmi la danza del ventre senza avere un grande successo ed ha cercato di trasmettermi, anche qui senza riuscirci, l’amore per la cura del corpo, il trucco, le maschere, una cura estrema, come per tutte le arabe del resto ma era da capirsi dato che solo il fatto di potersi truccare, cosa per me ovviamente scontata, era per lei fonte di immensa soddisfazione in quando a Teheran le era proibito dalla legge islamica.
 E poi parlavamo, parlavamo, parlavamo. L’inglese non era la lingua madre di nessuna delle due e ancora non lo parlavamo alla perfezione quindi dovevamo arrangiarci con parole, gesti e disegni per capirci. E’ grazie a lei che ho compreso appieno il dramma dell’Iran, questo paese modernissimo che dall’oggi al domani si è ritrovato sotto la legge coranica. Le ragazze hanno dovuto rinunciare a tutte quelle cose che davano per scontato, via le minigonne anzi, proprio via le gonne, niente trucco, colori permessi per gli abiti solo il verde scuro, il marrone ed il nero, l’età minima per sposarsi spostata a 9 anni, la lapidazione per l’adulterio, copertura costante del viso con velo, insomma, la negazione assoluta di tutto quello che era femminilità, la cancellazione del genere femminile. Ricordo le lacrime di Mahvash, nell’89  quando l’ayatollah morì. Lacrime di gioia, di sollievo perché lei i parenti, le sorelle, le aveva ancora là, a Teheran infatti da Londra spediva loro pacchi dove, nascosti all’interno di altre merci, c’erano trucchi e creme. Quando rimase incinta chiese l’asilo politico all’Inghilterra che non glielo concesse e così il marito se la portò negli Stati Uniti a partorire in modo da far avere alla figlia la cittadinanza americana grazie allo Ius soli. Mahvash ora vive a Chicago, si è separata dal marito padre padrone ma si è comunque risposata con un iraniano perché come dice lei, solo chi ha lo stesso background e la stessa cultura si può capire fino in fondo, e stiamo programmando una reunion a Londra il prossimo anno.
Uno dei piatti che mi preparava più frequentemente era il chelo rice. Il Basmati riempiva la casa del suo profumo e noi ci mettevamo sedute per terra, nel salotto, con una ciotolina piena di tadik che è la crosticina del chelo a costruirci la vita a parole..
Ingredienti per il chelo (per 6):
6 tazze di riso Basmati
12 tazze d’acqua
70 g di Ghee o burro
30 g di ghee o burro per la crosticina
50 g di panna o yogurt
Sale
Zafferano
Esecuzione:
Per prima cosa, se avete tempo, mettete il Basmati a rinvenire in acqua almeno per un’ora, meglio ancora se per una notte.
Mettere a bollire le tazze d’acqua insieme al ghee ed al sale. Quando l’acqua bolle, versatevi il riso, date una veloce mescolata e quindi coprite con un coperchio mettendo il fuoco al minimo.
Non dovrete MAI alzare il coperchio per tutto il tempo della cottura, circa 10,12 minuti.
Ora dovrete togliere il riso dal tegame travasandolo in una ciotola, poi metterete nella pentola di cottura i 30 g di ghee e un cucchiaino di zafferano, quindi vi rimetterete anche il riso pressandolo un pochino ma attenzione a non rompere i chicchi. Prendete poi il coperchio, foderatelo con uno strofinaccio e coprite il tegame col riso. Mettete su fuoco al minimo ed aspettate che formi una crosticina, il tadik appunto. Ci vorranno una ventina di minuti. A questo punto rovesciate il riso in un piatto da portata.
Il chelo viene solitamente offerto di accompagnamento al piatto principale mentre il tadik, la crosta che si sarà formata, viene servita a parte come antipasto.
Metterò in seguito la ricetta del Lubia Polo che ha come base proprio il Chelo.
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Il soufflé è una delle basi della cucina francese e deve il suo nome al verbo souffler che vuol dire gonfiare o riempire d’aria. Esiste sia in versione salata che dolce e non poteva essere altro che un piatto francese perché, come tanti altri loro piatti, è fatto per stupire, per far scena, basti pensare all’Ile flottante, una specie di quenelle di albumi e zucchero messa a galleggiare su di una base di crema inglese appunto come un’isola galleggiante.
Si serve come entrée nella versione salata oppure a fine pasto nella versione dolce. 
In pratica non è altro che una specie di crema “pasticciera” base composta da farina, burro, tuorli e latte alla quale vengono aggiunti albumi montati a “meringa”.
La sua realizzazione non è difficile ma il grosso problema è che con il calare della temperatura il soufflé tende a “sedersi” rovinando irrimediabilmente il suo aspetto e quindi occorre servirlo immediatamente. Questo, a mio modesto parere, non ne fa certo uno dei piatti più consigliati da servire quando si hanno molti ospiti a cena ma se il numero dei commensali non è indecente, ben venga il soufflé che vi farà fare un figurone e che è comunque un piatto ottimo, sia nella versione dolce che nella salata, con la sua consistenza umida e quasi spugnosa che si scioglie in bocca un poco per volta..

Questa che propongo è una versione modificata di Ina Garten, una famosa autrice di libri di cucina ed ex proprietaria di un food store tipo Dean and De Luca a nome La contessa scalza.

Ingredienti per 4 persone
Per gli spinaci:
Uno scalogno piccolo finemente tritato
50 g di spinaci freschi tritati
5 albumi
60 g di cheddar a dadini 
Sale
Olio
Per la base soufflé:
40 gr. di burro
20 cucchiai di farina
240 ml. di latte bollente
4 tuorli
Sale
Pepe di Cayenna
Noce moscata
Per gli stampi:

Una noce di burro
Tre cucchiai di parmigiano grattugiato

Esecuzione:
Imburrate quattro stampini con la noce di burro e poi ripassateli con il parmigiano grattugiato.
Preriscaldate intanto il forno a 210° e pesate gli ingredienti che vi serviranno.
Soffriggete lo scalogno tritato in poco olio, aggiungetevi gli spinaci ed il sale e fate cuocere qualche minuto per far evaporare più acqua possibile dagli spinaci.
Rimuovere dal fuoco.
Ora preparerete la base del soufflè. Sciogliete il burro in una casseruola, unitevi la farina e girare con un mestolo di legno a fuoco moderato finché la farina non sarà assorbita completamente ed il composto formerà delle bolle.
Togliete dal fuoco, riscaldate il latte nel microonde e poi versatelo tutto in una volta nel composto di burro e farina e mescolate vigorosamente con una frusta finché il composto non risulterà uniforme.
Aggiungete sale, pepe di Cayenna e noce moscata a gusto, rimettete su fuoco medio e fate sobbollire per un minuto continuando a mescolare con la frusta. Risulterà una base molto densa.
Togliete dal fuoco. Separate i tuorli dagli albumi e metteteli uno per volta nella base bollente mescolando bene prima di incorporare il tuorlo successivo. Aggiungete anche gli spinaci e correggete di sale se ce c’è bisogno.
Sbattete quindi gli albumi a neve ma non fermissima. Devono rimanere cremosi altrimenti non si amalgameranno bene alla base.
Unitene un poco, poi mettete il formaggio a dadini ed infine il resto degli albumi. Mescolate con una spatola di silicone dal basso verso l’alto con un movimento che servirà ad incorporare aria e poi versate nei 4 stampini ed infornate nella griglia di mezzo. Abbassate immediatamente la temperatura da 210° a 190° e cuocete per 18,20 minuti ma come sempre dipende dal vostro forno quindi occhio mi raccomando. Alla fine spengete il forno ma lasciate le cocottine dentro per altri due minuti e poi servite immediatamente altrimenti addio soufflé!
Potete vedere infatti dalla prima all’ultima foto l’abbassamento del soufflé davanti. Quello dietro non è che è gonfiato meno. Avevo solo riempito meno la cocotte..

Con questo soufflé partecipo avrei dovuto partecipare al contest dell’MTC Contest N° 37
ospitato questo mese da Tagli e intagli che ha come soggetto il soufflé ma da distratta quale sono, non avevo letto che nel regolamento era prevista obbligatoriamente una salsa di accompagnamento, ormai il soufflé era cotto e fotografato e così per questa volta salto il contest. Peccato!
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Pane cocco ciocco

by burroemalla

 

 
 
 
 
 
 
E nella giornata mondiale della poesia un breve pensiero di William Blake:
“Scende il sole ad occidente
la stella della sera già s’accende
tace l’uccello nel suo nido
ed io devo cercare il mio”
Sempre dal libro del geniale Jim Lahey, l’inventore del no knead bread, il pane senza impasto, questa volta una versione dolce arricchita da cocco e cioccolato. Il pane è un semplice pane il cui impasto leggermente salato contrasta a meraviglia con i pezzettini di cioccolato fuso racchiusi al suo interno. Nel latte al mattino poi è golosissimo. Come sempre nelle versioni di Lahey, non dobbiamo lavorare noi ma lasciamo la lunga lievitazione fare tutto il lavoro ed il risultato è strabiliante considerando i tempi effettivi da dedicargli. Basta organizzarsi, come sempre nel sistema Lahey, ed il gioco è fatto. Un bel pane caldo e profumato pronto per le vostre colazioni!
Vi serviranno:
280 g di farina da panificazione
100 g di farina di cocco disidratato
150 g di cioccolato fondente
5 g di sale
1 grammo di lievito di birra in polvere
280 g di acqua tra i 12 ed i 18°
Esecuzione:
In una ciotola media mescolate la farina, metà del cocco, la cioccolata tagliata grossolanamente, il sale ed il lievito. Aggiungete l’acqua e mescolate per non più di 30 secondi usando un cucchiaio di legno. Otterrete un impasto molto bagnato ed appiccicoso. Coprite con pellicola trasparente e fate lievitare a temperatura ambiente per 15 ore o fino a quando la superficie non si sarà ricoperta di bollicine e l’impasto sarà più che raddoppiato di volume.
A questo punto sposterete l’impasto su di una spianatoia spolverizzata di farina. Aiutatevi con un tarocco oppure una spatola di silicone perché l’impasto sarà molto difficile da gestire a causa dell’alta idratazione. Ripiegate i lembi dell’impasto verso il centro facendo tre o quattro giri di pieghe e quindi trasferitelo con la cucitura verso il basso su di un canovaccio spolverizzato di farina e del cocco rimasto, coprite con un altro canovaccio e fate lievitare altre 2 ore.
Mezz’ora prima della fine della seconda lievitazione, preriscaldate il forno a 220° con al suo interno, sulla terza posizione dall’alto, una griglia con su un tegame di acciaio o vetro con il coperchio.
Quando il forno sarà a temperatura, tirerete fuori il tegame prestando la massima attenzione e vi cappotterete l’impasto questa volta con la cucitura che si troverà verso l’alto. Coprite e fate cuocere per 30 minuti, quindi togliete il coperchio e prolungate la cottura di altri 20 minuti.
Fate raffreddare su di una griglia ma non pensiate di poter aspettare che si raffreddi per assaggiarlo.
Io non ci sono mai riuscita perché il profumo è irresistibile..

 

Con questo pane partecipo a Panissimo, la raccolta mensile di pani ideata da Sandra e Barbara e questo mese ospitata dalla convalescente ma sempre più in forma Patty

 

 

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